In questa concitata e rapidissima campagna elettorale rimane sotto traccia una grave discriminazione di cui pochi parlano: non tutte le liste hanno pari opportunità. Le forze che erano già Parlamento possono perpetuarsi. Chi era fuori rischia di non avere accesso. Perché non è possibile fare la raccolta firme in digitale come consentito per i referendum? Abbiamo rivolto queste ed altre domande a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni che sta portando avanti la battaglia per i diritti di tutti. «Le discriminazioni purtroppo sono tante e toccano vari aspetti» risponde Cappato che ha da poco presentato la lista Referendum e democrazia. Da dove partire? «Inizierei dal fatto che i partiti che già dispongono di strutture parlamentari e servizi sono avvantaggiati nella corsa elettorale. Bisognerebbe mettere tutti coloro che devono raccogliere le firme nella condizione di farlo. Questo è il primo livello di discriminazione. C’è sotto una logica inaccettabile: chi non è in Parlamento deve dimostrare di esistere. Chi invece è in Parlamento già esiste».
Chi deve raccogliere le firme non si può coalizzare?
Questa è la seconda discriminazione. Chi deve raccogliere le firme non si può alleare. Questo indipendentemente dal fatto che abbia una struttura potentissima, milioni di euro per raccogliere le firme e candidati in tutti i collegi. Se non hai l’esenzione e vuoi fare un accordo con qualcuno, devi farlo anche sui collegi uninominali. Ma chi ha l’esenzione i collegi uninominali non li chiude se non all’ultimo minuto. Dunque se una lista – di destra, di centro, di sinistra – vuole fare un accordo non lo può fare. È una questione totalmente discriminatoria.
Come si può superare questa discriminazione?
L’unico modo sarebbe permettere di raccogliere le firme sul simbolo e non sulle liste complete. Raccolgo 60mila firme e poi faccio gli accordi con chi voglio, come gli altri, che possono cambiare i candidati fino all’ultimo momento. “Mi piaceva Letta adesso non mi piace più”… fin qui hanno fatto come gli pare.
Calenda, prima di fidanzarsi con Renzi e non dover più raccogliere le firme, riteneva di aver diritto all’esenzione per il fatto di essere parlamentare europeo anche se è stato eletto nella lista Pd-Siamo Europa il soggetto politico che oggi si chiama Azione ma all’epoca delle elezioni non era presente con il suo simbolo. L’esenzione non vale però per l’Unione popolare. Come leggere queste disparità?
Sotto questo riguardo l’Unione popolare ha subito una discriminazione in più: erano presenti in Parlamento ma non è bastato. Sono stati esentati solo coloro che erano coalizzati. È una discriminazione nella discriminazione. Tutto questo è completamente illegale, assurdo, incostituzionale, non saprei come altro definirlo. Il governo ha il compito di diminuire l’impatto di queste discriminazioni. Per farlo deve autorizzare a raccogliere le firme sul simbolo e non sulle liste complete e con raccolta di firme digitale come già si può fare per i referendum.
Avevate rivolto un appello a Draghi riguardo alla possibilità di raccogliere firme in digitale. C’è stata risposta?
Silenzio assoluto; 25 persone hanno fatto lo sciopero della fame. Virginia Fiume è stata in sciopero della fame per dieci giorni. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Neanche un commesso parlamentare che ci abbia dato conto della ricezione del nostro messaggio.
Quali sono le conseguenze di queste spinte all’auto conservazione delle forze oggi in Parlamento?
Hanno riflessi politici forti anche sulla campagna elettorale. Stiamo parlando di questioni che sono apparentemente tecniche, fatte apposta per essere incomprensibili. Il risultato è che non interessano a nessuno. La conseguenza è un sistema blindato su una cerchia di partiti che alle ultime elezioni non sono stati neanche in grado di portare a votare un elettore su due. E che tuttavia possono tranquillamente continuare a parlare di se stessi, degli accordi, di chi fa il premier, senza prendere minimamente in considerazione questioni sociali enormi, divisive al loro interno, pensiamo ai cosiddetti temi etici o delle libertà civili. Ma anche a temi rispetto ai quali non sono minimamente preparati a proporre soluzioni concrete in primis i cambiamenti climatici che sono la priorità delle nuove generazioni.
Cosa c’è dietro questa auto blindatura del sistema?
Serve a tenere fuori dalla porta certe urgenze senza dover pagare un prezzo sul piano elettorale, se non sul piano dell’astensionismo. Ovviamente questo non è deciso da un “grande vecchio”. Io non sto facendo un ragionamento complottista. Dico che molte forze politiche hanno perso il contatto con la società. Ne sono consapevoli e tentano di recuperarlo sul piano della demagogia e della propaganda. Loro pensano di riuscire a drogare la campagna elettorale pagando lautamente agenzie di comunicazione. Spendono molto, tanto dura poco. Così alcuni saranno attratti dal fatto che tanto vince la destra, altri il centrosinistra, altri saranno attratti dallo slogan del giorno, la flat tax. Così anche questa volta si scavalla l’appuntamento elettorale e poi si ricomincia come prima.
A pochi giorni dal lancio di Democrazia e referendum già 700 persone si sono proposte come candidate della vostra lista incentrata su tematiche centrali come quella dell’ambiente. In questi giorni circola un appello di scienziati. C’è chi parla anche di “Agenda Giorgio Parisi”. Qual è la vostra proposta?
Noi portiamo l’urgenza della democrazia, come priorità assoluta per poter affrontare le grandi questioni del nostro tempo. Perché il tema dei rigassificatori o dei termovalorizzatori è esplosivo? Lo è perché viene affrontato come bandiera ideologica, da una parte e dall’altra. Quando parliamo di grandi opere o di grandi infrastrutture energetiche scatta la sindrome “non nel mio cortile” soprattutto – a mio avviso – perché non c’è informazione e non c’è coinvolgimento dei cittadini. Sulle grandi infrastrutture energetiche ci saranno comunque i favorevoli e contrari ma è importante discuterne. Si possono fare dibattiti pubblici sulle grandi opere, assemblee di cittadini come si fa nel resto d’Europa. Oggi ci sono strumenti. Per chi crede nella democrazia dovrebbero diventare un investimento prioritario. Usare la rivoluzione digitale e tecnologica per realizzare una rivoluzione democratica di partecipazione, questa è la priorità che avrà effetto poi sulle politiche riguardo ai cambiamenti climatici, sulle politiche sulla società civile, sulle grandi questioni sociali e del lavoro.
Due parole pressoché assenti in questa campagna elettorale sono diritti e laicità. Per aver accompagnato in Svizzera la signora Elena, malata terminale di cancro lei rischia fino a 12 anni di carcere. Come le era già accaduto per il caso di Dj Fabo. Dopo la sentenza del 2019 della Consulta il Parlamento avrebbe dovuto fare una legge sul fine vita. Quella in discussione, purtroppo, è perfino peggiorativa della situazione attuale. Siamo punto e a capo?
La disobbedienza civile di cinque anni fa ha poi portato alla legge sul testamento biologico e anche a una sentenza della Corte costituzionale che ha legalizzato l’aiuto al suicidio a determinate condizioni. In questo modo siamo già stati riformatori attraverso la non violenza. Ora dobbiamo proseguire il cammino, nonostante la strada verso il referendum sia stata sbarrata dalla Consulta guidata da Giuliano Amato. Nonostante sia stata sbarrata la strada delle leggi di iniziativa popolare e dell’iniziativa parlamentare. Nonostante tutto questo sia stato affossato. Le minoranze organizzate come quelle clericali e quelle collegate a vario titolo con il Vaticano, anche se non hanno un forte consenso nella società, hanno un efficacissimo potere di interdizione e di ricatto all’interno dei partiti e delle coalizioni. Torniamo dunque a parlare di un problema democratico. Problematiche particolari prevalgono sull’interesse generale, prevalgono sull’opinione pubblica anche se quest’ultima è molto più avanti del ceto politico su questi temi. Mettere al centro la democrazia ha esattamente questo significato.
Un’altra parola chiave di questa campagna elettorale è antifascismo. Anche lei è entrato nel dibattito su cosa è fascista, ricordando che la legge del 1930 lo è pienamente…
In Italia abbiamo ancora residui e scorie del regime fascista. Ci sono scorie di Stato etico nel codice Rocco ma anche per una certa organizzazione corporativa della società dove si sentono le corporazioni ma non si ascoltano i cittadini. Tutto diventa un negoziato. Una volta c’era la camera dei fasci e delle corporazioni, molto resta di quella eredità del regime fascista io penso che vada affrontata in modo molto diretto. E poi ci sono politiche fascistoidi che pur essendo nate in tempi più recenti mantengono quella impostazione ideologica. Ovviamente non risalgono all’epoca fascista ma hanno quella certa impostazione leggi come quella sulle droghe che mette fuorilegge milioni di consumatori. Tendenzialmente vi è contenuto un rischio totalitario, per fortuna è ampiamente disapplicata. Purtroppo a farne le spese sono solo i poveracci. E poi ci sono segnali da non sottovalutare come l’esibizione di camicie nere, simboli saluti. Ma ho l’impressione che l’eredità fascista della quale quale è necessario e urgente occuparsi è più che altro quella che sta nei fatti di oggi che nei simboli di ieri, che pur tuttavia sono significativi in quanto simboli di insofferenza, di una nostalgia che è figlia anche del fallimento del nostro sistema democratico nell’appassionare cuori e menti alla democrazia.
Nei giorni scorsi da più parti è stato proposto un suo diritto di tribuna nelle liste del centrosinistra, cosa risponde?
Lo hanno proposto degli intellettuali come Gianrico Carofiglio e Giuliano Ferrara, li ringrazio. Lo leggo come un segnale di attenzione e di stima, perché loro non sono leader politici. Non è il loro compito proporre degli accordi, dal punto di vista politico, pur con le differenze che soprattutto Ferrara ha sottolineato. Dunque io non posso che ringraziarli.