Il co-fondatore di WikiLeaks è uno dei tre finalisti del riconoscimento europeo "per la libertà di pensiero". Assegnarlo a lui aiuterebbe a fare vincere ciò che più di ogni altra cosa sconfigge le guerre, ossia il sapere

È andata bene, bisogna continuare. La “24 ore mondiale per Juliane Assange” è stata partecipata e seguita così come si sperava. Bravi tutti coloro che l’hanno pensata e organizzata. Tra le numerose realtà del Comitato promotore – assieme a Pressenza, Amnesty Italia, Free Assange Italia e molti altri – la rivista Left e Media alliance: una rete di testate europee cartacee e online di sinistra, di cui Left è animatrice dal primo momento, promossa anche da Transform! Italia (il ramo italiano della fondazione del Partito della sinistra europea, ndr).

Un network di giornali che ha l’idea che per fare l’Europa serva costruire una pubblica opinione europea e dunque anche una informazione a questa dimensione. Esigenza che ora sembra colta dalla stessa Commissione europea che sta avanzando una proposta di supporto anche pubblico a questo scopo.

La parte della “24 ore per Assange” ospitata nella sede di Left e trasmessa online è stata di grande interesse per chi ha preso parola e per l’ampia partecipazione. Soprattutto per i temi avanzati che legano strettamente la vicenda di Assange alla condizione di chi informa e di chi ha diritto ad esserlo. Ossia un punto chiave della democrazia e della cittadinanza.

La persecuzione di Assange, perché di questo possiamo parlare, sta dentro un processo inquietante di sequestro, manipolazione, distruzione dell’informazione che i dominanti perseguono contro i dominati. In un mondo di poteri economici sempre più predatori, di crisi sempre più drammatiche e ricorrenti, di guerre che si fanno mondiali, l’informazione è una delle vittime.

Informazione sequestrata dai poteri economici e politici che monopolizzano proprietà e mezzi. Operatori precarizzati e sempre più spesso intimiditi da pratiche minacciose. Vere e proprie campagne di fake news che vanno insieme alle censure. In questo mondo ormai orwelliano proliferano i ministeri della Verità con i loro slogan: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”.

La conoscenza tutta è diventata il primo terreno di dominio ma anche di scontro tra i dominanti. La conoscenza scientifica è sequestrata nei brevetti. Quella economica e finanziaria è manipolata da lobbisti e consigli di amministrazione. Le scuole sono invase dalle aziende. Come le stesse istituzioni democratiche. Cittadini e lavoratori sono messi ai margini anche perché faticano ad usare i computer che divengono barriera invece che comunicazione dello Stato nei loro confronti come nei magnifici film di Ken Loach, o vessati da algoritmi che organizzano il loro sfruttamento.

E poi c’è la guerra. Niente come la guerra uccide verità e giustizia e, sovente, chi la cerca e la diffonde. Di cercare e diffondere verità e giustizia è accusato Assange. Oggi più che mai dunque chiedere la libertà per Assange significa volere verità e giustizia.

Sarebbe molto importante a tal fine che il Parlamento europeo gli assegnasse il premio Sacharov per la libertà di pensiero (assegnato per la prima volta nel 1988 a Nelson Mandela e ad Anatolij Marčenko, ndr) che fu istituito proprio per riconoscere chi a verità e giustizia ha dedicato la vita. Il co-fondatore di WikiLeaks è tra i tre finalisti – assieme al “coraggioso popolo dell’Ucraina, rappresentato dal loro presidente, dai leader eletti e dalla società civile” e alla Commissione per la verità della Colombia – e questo è già molto importante. Proprio adesso assegnarlo a lui aiuterebbe molto anche a fare vincere ciò che più di ogni altra cosa sconfigge le guerre, appunto il sapere.

 

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