Il presidente del Senato La Russa dice che non festeggerà il 25 aprile. Del resto gli va riconosciuta coerenza. Lui non è mai stato e mai si è detto antifascista. Ma ora è la seconda carica dello Stato e le sue affermazioni diventano gravissime di disconoscimento della lotta partigiana contro il nazi-fascismo da cui nacque la Costituzione antifascista; Costituzione che il governo Meloni vuole cambiare, imponendo una virata presidenzialista.
Tutto questo purtroppo è il risultato di una lunga storia di picconamenti delle conquiste democratiche pagate con il sangue dai partigiani. Ormai quasi non si contano più gli attacchi al 25 aprile, festa della Liberazione al nazifascismo; “festa divisiva” dicono i nostalgici del fascismo.
E di nostalgici diretti e indiretti se ne contano tanti: da Berlusconi che sdoganò Alleanza nazionale a Dell’Utri che propalò il falso dei diari di Mussolini, per arrivare a Salvini che tante volte ha ammiccato al «me ne frego» di mussoliniana memoria, arrivando poi, dalla spiaggia del Papete a invocare i pieni poteri.
Per non dire della stessa presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il cui partito, Fratelli d’Italia, conserva tutt’ora nel simbolo la bara stilizzata del duce dalla quale scaturisce la fiamma tricolore. Nel libro Io sono Giorgia, del resto, la premier si dichiara figlia spirituale di Giorgio Almirante.
Come ci ricorda Mimmo Franzinelli nel libro Il fascismo è finito il 25 aprile del 1945 (Laterza) il padre spirituale di Giorgia Meloni si impegnò durante il regime nella campagna antiebraica», fu «firmatario nella Rsi di bandi per la fucilazione dei renitenti alla leva e nel secondo dopoguerra» fu «dirigente del Msi in una strategia che combinava il manganello al doppiopetto, senza distanziarsi dal fascismo».
Da questo ampio fronte di destra arriva ora l’ennesimo attacco alla memoria storica resistenziale ad opera del presidente del Senato La Russa, che nel suo discorso di insediamento aveva giurato di essere il presidente di tutti e di “condividere parola per parola” il discorso della senatrice a vita Liliana Segre. Ma anche dicendo che la Costituzione andava “aggiornata” e ringraziando Luciano Violante che – ecco il vulnus- già anni fa nel suo discorso di insediamento alla presidenza della Camera equiparava i partigiani ai ragazzi di Salò.
Da lì a valanga, una serie di scivolamenti, sostanziali e simbolici, di arretramenti nel riconoscere la matrice antifascista e resistenziale della Repubblica italiana, avallata da un ampio arco parlamentare. Pensiamo per esempio alla recente istituzione della giornata nazionale degli alpini, che celebra loro pagina di storia più buia, ovvero quando furono mandati al massacro nel 1943, a sostegno dei nazisti per forzare il blocco dell’armata rossa.
A questa iniziativa si è aggiunta negli ultimi mesi una vera propria campagna di discredito e di delegittimazione che l’Anpi, l’associazione nazionale partigiani ha subito dacché è in scesa in campo per la pace, per fermare l’aggressione di Putin all’Ucraina, proponendo la strada della diplomazia invece di quella delle armi.
Pietra dello scandalo – oltre al no alle armi per evitare una escalation del conflitto e salvare vite umane – fu anche il no dell’Anpi alle bandiere della Nato in piazza il 25 aprile, alleanza militare fondata nel 1949 (sic!) e che non vanta una storia esattamente esemplare, basti pensare alle bombe sganciate sul Kosovo.
L’Italia come è noto si è precipitata alla corsa alle armi aumentando la spesa militare fino al 2% del Pil, come richiesta Nato. Già il ministro Guerini aveva chiesto al Parlamento di portare la spesa militare annua da 25 a 38 miliardi come abbiamo documentato nei numeri scorsi di Left.
E ora con il ministro dell’Interno Crosetto, già lobbista delle armi, la spesa militare aumenterà ancora, come si evince dal programma di governo Meloni. Ma su tutto questo non è dato obiettare. Il neo ministro Crosetto minaccia querele a chiunque segnali l’inopportunità della sua nomina agli Interni segnalando un conflitto di interessi. Le ciniche ragioni delle armi e della guerra sarebbero incontestabili. Non ci arrendiamo a questo pensiero violento. Non è realtà umana sbranarsi gli uni gli altri, al contrario ci realizziamo nella socialità. Non è vero quello che c’è scritto nella Bibbia e che per secoli hanno ripetuto tanti pensatori, da Hobbes a Kant a Freud e Heidegger…
La verità è che la guerra non è mai uno strumento di risoluzione dei conflitti. Lo afferma con chiarezza l’articolo 11 della nostra Costituzione.
Perché non cercare di opporre alla violenza la forza non distruttiva della trattativa, della diplomazia coinvolgendo l’Onu (riformato e democratizzato) costruendo una conferenza internazionale di pace sul modello di Helsinki 1975? Costruire la pace attraverso gli strumenti della nonviolenza, del disarmo, della resistenza attiva, della costruzione di corpi civili di pace è la proposta dal basso di movimenti internazionali tra cui la Rete per la pace e il disarmo, che sarà rilanciata durante la grande manifestazione del 5 novembre a Roma.