L’introduzione del reato di rave party e il provvedimento sull’ergastolo ostativo, due delle prime misure del governo Meloni, sono pura propaganda securitaria, nonché pericolose forme di disciplinamento sociale. Ha ragione Gian Domenico Caiazza, avvocato presidente dell’Unione camere penali, intervistato da Giuseppe Salvaggiulo su La Stampa: «C’è un’idea populista della giustizia penale. Ormai con i decreti si fa di tutto. Dove sono i presupposti di straordinaria necessità ed urgenza? C’è un’emergenza rave party? Quanti ce ne sono, in Italia, ogni anno?».
"Solo interventi populisti. È un debutto deludente"
La mia intervista per La Stampa sul nuovo decreto legge. La posizione dell'Unione @CamerePenali pic.twitter.com/SNA8rL8k6c— Gian Domenico Caiazza (@gdcaiazza) November 1, 2022
Sono preoccupato: al netto delle pene spropositate, la norma potrebbe essere applicata in occasione di occupazioni di fabbriche, scuole, abitazioni. In questa norma si può prefigurare una sorta di possibile reato di chi è protagonista di critica sociale, ribellione, di dinamiche di lotta di massa.
Per quanto riguarda, in secondo luogo, il provvedimento sull’ergastolo ostativo è importante notare che il governo aggira (è stato poco sottolineato in queste ore) anche la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 2019, la quale ha sostenuto che l’ergastolo ostativo è in contrasto con l’art. 3 della Convenzione, che vieta in modo assoluto trattamenti inumani o degradanti. È il medesimo contenuto dell’art. 27 della nostra Costituzione.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni afferma, con demagogia, che l’ergastolo ostativo è indispensabile per combattere le mafie, negando, con superficialità, il parere di tre presidenti emeriti della Corte costituzionale. Gli ergastolani ostativi, dopo trenta anni di carcere duro, non sono ammessi a «benefici penitenziari», a misure alternative al carcere (e, ovviamente, alla liberazione condizionale).
Mi è capitato di incontrare, nei miei seminari in carcere, molti dei più dei 1.200 ergastolani ostativi. Tutti ritengono che sia preferibile la pena di morte. Scrive Musumeci: «Se lo Stato uccide la speranza di riabilitazione ha già, con legittimità formale, spento la vita». Aldo Moro ha scritto pagine altissime di diritto ed umanità nella relazione alla Costituente in cui si dichiarava a favore dell’abolizione dell’ergastolo. L’art. 27 della Costituzione è chiarissimo nel tracciare la distinzione tra efficacia punitiva e riabilitazione. Anche nei casi dei delitti più efferati le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato».
Per l’appunto, la Convenzione europea ci chiede di valutare la persona , senza “inchiodarla” al reato commesso trenta anni prima. E chiede che il giudice possa riconsiderare caso per caso la situazione del detenuto, articolando la fattispecie senza, comunque, nessun automatismo concessivo.
È un grande tema, molto sofferto, che non merita la mediocre demagogia di Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia: è possibile una pena orientata costituzionalmente anche di fronte a reati gravissimi e, a volte, agghiaccianti? Una grande sfida per la legalità costituzionale. Si tratta di una decisione di civiltà giuridica. Uno Stato forte non deve temere se stesso e i propri giudici, né la liberazione di detenuti che hanno scontato, in carcere duro, decenni di pena.