Un immenso continente in trasformazione. Dove, sotto pelle, si stanno realizzando grandi cambiamenti, economici, sociali, politici, grazie al fermento di movimenti sociali dal basso che i giornali mainstream non registrano. Almeno non quelli italiani che parlano di Africa solo quando esplodono drammi umanitari (e senza individuarne le cause né le nostre responsabilità) o quando si tratta di paventare immaginarie invasioni di migranti.
Ma questo, come scrive Jean-Léonard Touadi ad apertura di questo nuovo numero di Left, non è la realtà delle Afriche. Ciò che non fa notizia – ma che ben presto la farà – è che nuove generazioni di africani stanno crescendo rapidamente e sono sempre più interconnesse, curiose, esigenti, piene di idee, desiderose di partecipare attivamente alla società, di poter costruire un futuro diverso.
I numeri sono impressionanti. Come scrive Marco Aime ne Il gran gioco del Sahel (Bollati Boringhieri) nel 1960 gli africani erano 230 milioni e le previsioni dicono che saranno più di due miliardi e mezzo nel 2050. Oggi sono un miliardo e 400 mln e il 50% ha meno di 15 anni.
Questa grande massa di giovani sempre più si sposta nelle città facendo delle megalopoli grandi laboratori di sperimentazione di nuove tendenze e di innovazione: dalla crescente digitalizzazione al boom di start up, dalla pervasiva diffusione degli smartphone alle sperimentazioni di nuovi linguaggi nell’arte, nella musica, nella moda, aprendo anche prospettive economiche. Di questo inedito scenario africano che tocca tanti aspetti diversi della vita ci raccontano qui antropologi, demografi, economisti, esperti nello sviluppo di energie rinnovabili, curatori artistici.
In un momento in cui l’Italia torna a chiudersi in una prospettiva autocratica abbiamo aperto le finestre ad aria nuova, raccontando questa grande trasformazione, che fra pochi anni ci riguarderà direttamente, toccando tutta l’anziana Europa che cambierà pelle, diventando sempre più meticcia. Con buona pace dei nazionalisti e sovranisti nostrani che saranno sempre più fuori dalla storia.
Certo, visto dall’Italia di oggi quel momento sembra lontano, pensando alla compagine di estrema destra che è appena salita al governo, minacciando blocchi navali e il ripristino dei decreti sicurezza contro i migranti che loro chiamano “irregolari”, salvo poi invocare flussi da sfruttare nei campi. Con tutta evidenza sul piano dei diritti civili e sociali il governo Meloni e dei suoi accoliti segna una regressione politica e culturale senza pari. Potranno fare molto danno se, come annunciano, metteranno mano alla Costituzione virandola in senso presidenzialista, se attueranno la secessione dei ricchi, ovvero l’autonomia differenziata che disarticola il principio costituzionale di uguaglianza. Potranno fare molto male ai diritti delle donne e alle conquiste riguardo ai diritti civili se applicheranno gli antistorici e antiscientifici dogmi religiosi e patriarcali della neo ministra della Famiglia e della natalità Eugenia Roccella, del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano e del presidente della Camera Lorenzo Fontana.
Nomima sunt consequentia rerum e come sono stati ribattezzati i ministeri già la dice lunga. Ministero del Mare e del sud, con nostalgie del ventennio, (ministero senza porti dacché Salvini li rivendica per il suo ministero delle Infrastrutture). Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica che cancella la transizione ecologica (del resto la destra è sempre stata per le energie fossili come l’ex ministro Cingolani che, in continuità con il governo Draghi, farà da consulente). Ministero della Famiglia e della natalità affidato alla suddetta Roccella, spalleggiata da Gasparri che ripropone il suo famigerato ddl che dà personalità giuridica all’embrione, negando la nascita, confondendo feto e neonato contro ogni evidenza scientifica, suggerendo l’idea razzista che l’identità umana stia nel Dna e si trasmetta per via di sangue alla stirpe. Su tutto questo abbiamo scritto molto su Left.
Qui vi proponiamo di guardare avanti, di osservare e leggere quel che di vivo e vitale si sta muovendo fuori dai nostri confini. Sarà un viaggio speriamo entusiasmante come lo è stato per noi conoscere più da vicino quali e quante novità interessanti stanno arrivando dal grande continente africano.
Una cosa è certa: il nostro futuro ha a che vedere con l’Africa, che gioca un ruolo primario. Ed è un piacere scrivere di un continente di cui si parla poco e che ci permette di ampliare il punto di vista, superando una visione rigidamente eurocentrica. Nell’attuale potente processo di urbanizzazione africana giovani generazioni “globalizzate”, in contatto con il resto con il mondo, stanno sviluppando una visione politica. Certo se guardiamo la cartina del potere l’Africa, a sessant’anni dalle lotte per l’indipendenza, appare ancora segnata da dittature e governi corrotti utili alle multinazionali, segnata da forti disuguaglianze dovute a enormi ricchezze e risorse concentrate in poche mani.
Ma fermarsi a questa mappa geopolitica non permette di cogliere l’humus, il fermento, ciò che socialmente si muove sotto traccia e ben presto produrrà cambiamenti epocali. Non solo per i balzi in avanti che tanti Paesi africani stanno facendo grazie all’iniziativa di tantissimi giovani, che in assenza di lavoro, s’ingegnano inventando nuove imprese grazie alla rete e alle tecnologie a basso costo. Si è innestato un processo che sta andando avanti in maniera inarrestabile e che prefigura quel che potrà accadere da noi.
Non è un caso che in Africa gli smartphone abbiano soppiantato la telefonia fissa molti anni prima che in Europa. Non è un caso che l’idea di un money transfer digitale “solidale” sia partita dall’Africa (con m-pesa, per evitare i costosi circuiti bancari) e si sia poi diffusa nel mondo. Non è un caso se le nuove sfide digitali, comprese quelle che riguardano la digital art, che non ha bisogno di gallerie fisiche, siano partite proprio da lì. Ed è solo l’inizio.
Editoriale di Left n.31 del 4 novembre 2022
Copertina illustrata da Fabio Magnasciutti