Fino a pochi mesi fa, Nasim Eshqi era l’unica donna a fare free-climbing da professionista in Iran, capace di aprire nuove vie sia nel suo Paese che all’estero: una settantina in tutto, fra le quali una anche in Italia, sulle Dolomiti del Brenta, dove Francesca Borghetti ha girato una parte del documentario a lei dedicato, Climbing Iran. Ora Nasim – dopo anni di equilibrismo tra quel potente anelito di libertà che si esprimeva nelle sue arrampicate in solitaria e le regole della Repubblica islamica cui si doveva adeguare una volta scesa dalle vette delle sue montagne e del suo agonismo – ha deciso di lasciare l’Iran e di venire in Europa, per testimoniare in altro modo la forza e la determinazione delle donne iraniane. Ne parliamo con lei in questa intervista.
Per molti anni ha usato cautela nell’esprimere le sue idee, per non compromettere la sua posizione in Iran. Quando ha deciso di lasciare il suo Paese e cosa l’ha spinta a farlo?
Quando Mahsa Amini è stata uccisa, ho deciso di essere la sua voce, che è anche la mia voce e quella di ogni donna iraniana. Ho deciso di smettere di censurare me stessa. Ne avevo abbastanza di tanta oppressione. Ero stanca di vivere nell’ombra. Il governo, il sistema e la religione continuavano a tagliarmi le ali. Avevo fatto crescere le mie ali ancora e ancora, ma non potevo usarle. Ho sopportato questa situazione per 40 anni, ma ho sempre voluto essere una donna libera. Un essere umano libero. Così ho deciso di vivere dove mi sento più libera. E sto usando la mia piattaforma per essere la voce della libertà e dei diritti umani per le persone che non hanno voce, perché Internet è bloccato in Iran. Quando i media sono corrotti o tacciono, io faccio da media per la mia gente.
Cosa rende queste ultime proteste in Iran diverse dalle precedenti?
Le persone sono più consapevoli, non è facile manipolarle tanto quanto prima. La nuova generazione non accetta di vivere in una gabbia. È così semplice, vogliono essere trattati come “umani”.
Il movimento non ha né una leadership politica né una chiara strategia per il futuro. Quando e come arriveranno, secondo lei?
Esatto, questo il motivo per il quale il governo non può spegnere questo incendio. Non c’è nessun leader che possa arrestare e uccidere, perché ognuno di questi uomini e donne è diventato un leader della propria vita. Ovviamente è impossibile vedere “quello che vogliono”, ma è molto chiaro “cosa non vogliono”. Non vogliono il regime islamico. Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: fermare l’oppressione contro le donne.
Pensa che questo movimento sarà in grado di cambiare l’Iran in modo definitivo e che una “rivoluzione” sia proprio dietro l’angolo?
Sono molto ottimista e sono sicura che ci sarà un cambio di regime. La rivoluzione non è dietro l’angolo, abbiamo una rivoluzione già da settembre. Siamo dentro la rivoluzione. Il popolo iraniano ha protestato per 43 anni (dalla rivoluzione del 1979) ma nessuno poteva sentirlo, perché i media erano nelle mani del regime. Ma ora da oltre due mesi stiamo facendo una rivoluzione. Le donne iraniane stanno cambiando il mondo. Hanno trovato il puro potere in sé stesse per cambiare la propria vita e questo è un grande passo verso la libertà per tutti. Certo, perderemo più vite e il governo ucciderà sempre di più, ma non possono uccidere l’intero Paese, quindi perderanno sicuramente. Hanno già perso molto, si può leggere la paura nei loro occhi. Questo è quello che volevamo. Abbiamo già vinto molto e andremo avanti. Non c’è modo di tornare indietro.
Alcuni analisti mettono in guardia i manifestanti su certi elementi critici: una campagna così potente sui media occidentali a sostegno delle proteste rivela anche che nel cyberspazio esistono potenti meccanismi che amplificano enormemente la diffusione degli hashtag relativi alle proteste in Iran.
Naturalmente ci sono alcune campagne online che hanno lo scopo di amplificare le voci delle donne iraniane. Ma in realtà c’è una grande macchina che diffonde notizie false in rete per nascondere la vera notizia, che è quella dell’omicidio di massa in corso. Fare luce sulle esecuzioni compiute in silenzio e sugli stupri nelle carceri dovrebbe essere l’obiettivo principale dei media che sostengono i diritti umani. Ma non lo è. Instagram e Facebook continuano a cancellare i miei post sulla rivoluzione iraniana. Anche Instagram, Facebook e altre piattaforme multimediali stanno cercando di censurare le nostre voci. Perché credo che stiano traendo benefici dal regime islamico. Il quale sta pagando molto per mettere a tacere i media sulla rivoluzione iraniana. D’altronde i Paesi occidentali chiudono gli occhi davanti a queste uccisioni di massa e alla mancanza di diritti umani e dei diritti delle donne in Iran, perché per loro l’odore del petrolio è più forte dell’odore del sangue. In realtà noi iraniani siamo stati lasciati molto soli per 43 anni. Alcuni Paesi condannano il regime iraniano per aver fornito armi alla Russia contro l’Ucraina, ma non per aver ucciso, giustiziato e violentato i propri cittadini. Ma noi non ci arrendiamo. Uomini e donne iraniani e persino bambini stanno inviando le loro voci oltre il confine mentre sfidano la repressione e vengono uccisi. Solo dopo due mesi di proteste l’Onu è intervenuta (con la decisione del 24 novembre di istituire una commissione di indagine indipendente, ndr). Fino ad allora non sapevano cosa stava succedendo in Iran? Comunque, noi vogliamo solo che i Paesi occidentali smettano di sostenere questa dittatura islamica e impongano forti sanzioni agli iraniani che opprimono le nostre donne e uccidono le nostre ragazze, mentre le loro si godono la vita in Occidente. Mentre le famiglie dei nostri politici prendono il sole in spiaggia nei Paesi occidentali, infatti, i loro padri e mariti in Iran uccidono le donne perché non hanno un hijab adeguato. Ma noi iraniane abbiamo il potere e il coraggio di cambiare il regime se i Paesi occidentali smettono di aiutarlo.
Ora pare che la Repubblica islamica stia ragionando sull’abolizione della Gashte Ershad (Pattuglie di guida), la cosiddetta polizia morale, istituita nel 2006 durante la presidenza del conservatore Mahmoud Ahmadinejad.
Prima c’erano altri organi simili, come i komite, e poi è nata la Gashte Ershad. Le pattuglie sono formate da donne e uomini: riempiono il furgone e alcune ragazze vengono fatte stare in piedi, per farne stare dentro il più possibile. Come i treni per i campi di concentramento ai tempi del nazismo. Sono stata arrestata più volte anche io: ricordo una volta che, arrivati al centro dell’organizzazione Vozara, gli autisti chiedevano ridendo agli altri colleghi: abbiamo tre ragazze in più, le vuoi? Comunque questa è la loro politica: cambiando il nome, cercano di ingannare la gente. Quest’ultimo annuncio non significa che le autorità si siano arrese o vogliano fermare la violenza, stanno solo cercando di salvarsi in ogni modo possibile. Ma sono alla fine. Pensano che la gente ci creda ma non è possibile, non c’è fiducia. La gente non vuole più ayatollah e mullah, non vuole più il regime islamico. E non si calmerà con questo tipo di annunci.
Come free-climber ora residente in Europa, cosa sogna di fare?
Il mio desiderio è sempre stato quello di arrampicare su ogni tipo di roccia e migliorare il mio livello di arrampicata in ogni aspetto. Ma ora voglio per prima cosa vedere il popolo iraniano sorridere e godersi la vita. Il mio augurio è “Donna vita libertà”.
Foto di apertura e nel testo dal documentario Climbing Iran
L’autrice: Luciana Borsatti è giornalista e scrittrice, per molti anni corrispondente Ansa da Teheran. Fra i suoi libri L’Iran al tempo di Biden (Castelvecchi, 2021) e L’Iran al tempo di Trump (Castelvecchi 2018-2020)