Hayemarket Square, Chicago. È il primo maggio del 1886. Migliaia di lavoratori – attivisti anarchici e operai – scioperano per ottenere una giornata lavorativa di otto ore. In alcuni tafferugli un manifestante viene ucciso e altri feriti. Si convoca un’adunanza e il culmine viene raggiunto il 3 maggio. La polizia sorveglia anche se la protesta è assolutamente pacifica. All’improvviso esplode una bomba tra le forze dell’ordine e immediatamente partono colpi di arma da fuoco in ambedue gli schieramenti. Il bilancio finale tra polizia e lavoratori è gravissimo. Otto tra lavoratori e anarchici sono ingiustamente arrestati perché ritenuti colpevoli di aver scagliato la bomba, e cinque di loro verranno impiccati l’11 novembre 1887 dopo un processo sommario e in mancanza di vere prove a loro carico.
Emma Goldman ha 18 anni. Era giunta un anno prima, insieme alla sorella Helena, dalla Lituania, dove era nata. Segue con estrema attenzione il processo che si rivela una montatura; rimane sconvolta dalle procedure e dal suo esito tragico che la spingono irreversibilmente verso la scelta di campo dell’anarchismo, affascinata dalle idee, dal coraggio, dalla dignità e dalla coerenza dei condannati.
A vent’anni, quella che diventerà per la stampa americana e per tutti «Emma la rossa», spicca il volo con un’intensa attività militante che durerà tutta la vita. La vediamo arringare alla folla nei comizi, a sostenere la causa dei lavoratori oppressi, a difendere migranti, prostitute e donne di qualsiasi estrazione sociale. Viaggia in lungo e largo per gli Stati Uniti, svolge conferenze, pubblica articoli. Conosce la prigione, quella dura, ma non si ferma mai nella lotta contro lo sfruttamento, i pregiudizi, l’ipocrisia nei rapporti sociali, il giogo violento della religione e dello Stato.
Molta della sua vita sprizza, felicemente intensa, dalla raccolta di articoli del volume appena pubblicato da Elèuthera dal titolo Libertà o niente, a cura di Francis Dupuis-Dèri.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché oggi dovremmo provare interesse per una donna vissuta così lontana nel tempo. E allora basterebbe, forse, cominciare a scorrere le pagine con i titoli trattati, per capire che il mondo attuale non è andato molto più in là dei primi del Novecento in tema di libertà di pensiero, di amore, sessualità, contraccezione, rapporto uomo-donna, laicità, diritti, immigrazione. Sono pagine fresche e sanguigne quelle di Emma. Un inno alla vita e alla ribellione contro la proprietà, che significa «esercitare il proprio dominio sulle cose e negarne l’uso agli altri»; contro lo Stato che protegge e preserva proprietà e monopolio; contro la Chiesa e la religione creata dalla «fantasia distorta degli uomini che non avevano conseguito il pieno sviluppo e il pieno possesso delle loro facoltà» come scriveva l’ateo Bakunin. Una professione di radicale ateismo contro tutto ciò che «soffoca i bisogni dell’uomo» e rende «schiavo il suo spirito».
Antimilitarista e antinazionalista convinta, condivide profondamente il pensiero anarchico perché unica filosofia di pace, «l’unica teoria dei rapporti sociali che consideri la vita umana più preziosa di qualsiasi altra cosa».
L’anarchismo, nonostante le ombre di atti violenti a cui cerca di dare risposte, è ciò che, per lei, si propone di recuperare dignità e indipendenza contro ogni costrizione e intromissione da parte dell’autorità. Solo l’anarchismo «enfatizza l’importanza dell’individuo, le sue potenzialità ed esigenze in una società libera». È vita e armonia sociale, pensiero che si batte contro ogni istituzione che contribuisca a «deviare l’energia umana nei canali sbagliati».
Emma Goldman anticipa in modo sorprendente le battaglie progressiste contro la pena di morte, il sistema carcerario, la leva obbligatoria, la criminalizzazione dell’omosessualità. Nemica irriducibile del puritanesimo, ne denuncia la violenta ipocrisia, ostile a ogni «impulso sano e spontaneo», e la ferocia nel contrapporsi a ogni espressione naturale di sessualità, libertà e bellezza, giudicate peccaminose. Ma la sua migliore e più incisiva espressione umana e politica la troviamo nelle battaglie per l’uguaglianza di genere e l’emancipazione femminile.
È consapevole che i diritti civili, pur necessari, non bastano a liberare la donna dalle catene dei pregiudizi e delle convenzioni sociali. Si batte per l’autodeterminazione e per la contraccezione. Combatte il forzato binomio donna/maternità e il matrimonio come la prima delle mistificazioni sociali che rendono la donna schiava, oltraggiata, «priva di anima» e di diritti. Denuncia la «criminale ignoranza» riguardo alla sessualità a cui era soggetta la donna che la priva «dell’esperienza profonda e magnifica del sesso» fino al matrimonio. L’amore – denuncia – rimane uno sconosciuto ma è l’amore che crea il vero legame sentimentale, la vera unione. È l’amore, l’amore libero, l’istinto naturale e salutare della sessualità, il vero potenziale che lega uomini e donne e che può contribuire a fondare una nuova società. Per un attimo, sembra di ascoltare la voce di Aleksandra Kollontaj che legge a voce alta Largo all’eros alato!.
Emma Goldman sente necessaria una nuova rivoluzione culturale, una liberazione mentale dai vincoli religiosi e dai pregiudizi culturali e morali. È consapevole che, nella storia del progresso umano, ogni «idea nuova che annuncia un mondo migliore», è costretta a una lotta ostinata e tenace contro un vecchio ordine che utilizza qualsiasi modo o mezzo, anche crudele, per fermare il nuovo che avanza. Come Aleksandra Kollontaj e tutte le donne esposte in prima fila in questo scontro culturale e umano di identità non riconosciute, vive sulla sua pelle la denigrazione, la calunnia e l’esclusione. Ma senza mai arretrare. Entra in conflitto con gli stessi anarchici che non riconoscono il concetto profondo e rivoluzionario di emancipazione femminile. L’idea del possesso, lo svilire le rivendicazioni è sempre dietro l’angolo, anche con loro.
«La mia vita è valsa la pena?», si domanda Emma nel titolo dell’ultimo articolo del libro. Lo lasciamo scoprire ai lettori. Possiamo senz’altro affermare, però, che la sua vita e il suo pensiero sono tra i punti di riferimento imprenscindibili che hanno contrassegnato l’affermazione di diritti e di libertà di cui oggi, nonostante tutto, godiamo. Nonostante tutto perché siamo purtroppo ancora distanti, molto distanti, da quell’utopia umana che Emma Goldman e le sue compagne ribelli sognavano. Riscopriamole e rileggiamole perché la guerra, la violenza contro le donne, contro i bambini, contro i migranti, la politica assente, il neoliberismo sfrenato e reazionario, in cui il diritto del capitale annulla e distrugge i diritti degli esseri umani, la confusione culturale e politica, soprattutto a sinistra, che alimenta incertezze, poca chiarezza o assenza di risposte nella società, non hanno trovato ancora un argine sicuro e certo e aggrediscono continuamente quella libertà e quella eguaglianza per cui donne e uomini hanno lottato e continuano a lottare, anche a rischio della loro vita.
Riscopriamo e rileggiamo Emma Goldman perché ci racconta che gli esseri umani non vogliono la guerra, non vogliono lo sfruttamento, non sono violenti per natura. Ciò che li rende tali è l’estremo impoverimento, gli abusi, i vantaggi illeciti, il disattendere non solo i bisogni ma le esigenze di altro, oltre il riposo e il lavoro. A monte, c’è l’oppressione di una cultura virulenta e repressiva di politiche reazionarie impastate di religione.
Allora è urgente un’opposizione culturale e politica che promuova un salto di qualità, profondo, radicale. Comprendere cosa è umano e cosa non lo è, può essere la chiave per ritrovare una speranza, la ribellione, ideali umani forti per una prassi concreta rinnovata.
Oggi un pensiero nuovo ci dice che «la libertà è un movimento ed un processo dell’essere che ricerca la verità di sé stesso». Emma Goldman probabilmente lo avrebbe ascoltato.
per proseguire la ricerca: Il libro di left Partigiane dei diritti contiene un approfondimento su Emma Goldam di Stefano Berardi qui per acquistare il libro:https://left.it/libri/
Nella foto: un murale che ritrae Kanno Sugako, Frida Kahlo e Emma Goldman