Viviamo in un’epoca di enormi possibilità, ma ancora il pensiero sull’identità delle donne è fermo all’inizio della civiltà, a quel logos
e a quella religione che hanno eliminato la realtà delle donne dall’umano
Se un pubblico ministero dice che un uomo può picchiare una donna per ragioni culturali e di tradizione significa che la legge ha fallito? No, perché la legge è uguale per tutti, ossia applicata a tutti in modo uguale, a prescindere dalle tradizioni o dalla cultura che si ha, a prescindere dai pensieri del colpevole della vittima, che sono irrilevanti. Allora dobbiamo pensare che il problema è la cultura, il pensiero dell’uomo sull’uomo che ha fallito. O meglio il pensiero dell’uomo sulla donna. Il pensiero non detto è l’idea che la violenza sia accettabile, compatibile con la legge, compatibile con i diritti umani stabiliti dalla Costituzione. C’è il pensiero che la donna sia naturalmente inferiore all’uomo e va bene che sia violentata, va bene che le sia fatta violenza per ragioni “di tradizione”.
Un’osservazione: la violenza verso gli animali e verso gli esseri umani sono molto diverse. La violenza verso gli animali si potrebbe dire non essere violenza: noi mangiamo gli animali. Ecco allora giustificare una violenza sulle donne vuol dire molto semplicemente che la donna non sarebbe in realtà un essere umano. Quante volte avete sentito dire, in particolare da religiosi, che le donne sono come animali? Quante volte avete sentito la favoletta che il bambino non è ancora un essere umano, è subumano, è polimorfo perverso, ha un animale dentro di sé che va controllato ed educato (non istruito ma educato: non a caso parlano sempre di educazione mai di istruzione che viene semmai dopo). La ribellione delle donne iraniane, il movimento Donna vita libertà è un unicum della storia.
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