Il 2 ottobre del 1943 i nazisti fecero un raid in Danimarca ma Il popolo danese riuscì a salvare quasi tutti gli ebrei presenti sul territorio. Una straordinaria storia di nonviolenza raccontata nel libro di Andrea Vitello

Il 2 ottobre 1943, esattamente 80 anni fa, mentre la Danimarca si trovava sotto occupazione tedesca, i nazisti decisero di attuare un raid per catturare e deportare tutti gli ebrei presenti nel Paese. Per fortuna si trattò del raid nazista più fallimentare nella storia della Shoah. Ma, come ben sappiamo due settimane dopo – il 16 ottobre 1943 – avvenne la razzia dell’ex ghetto di Roma purtroppo con esiti molto diversi.
Rispetto a quanto accaduto in Italia, in Danimarca, grazie a una resistenza nonviolenta e all’aiuto di un nazista tedesco della prima ora, la popolazione locale riuscì a salvare quasi tutti gli ebrei trasportandoli in Svezia, Paese rimasto neutrale durante il conflitto mondiale. Il nazista in questione, Georg Ferdinand Duckwitz, anni dopo verrà nominato Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem. Il caso danese rappresenta un unicum nella seconda guerra mondiale. Per questo, complice anche l’importante anniversario, abbiamo deciso di intervistare Andrea Vitello, giovane storico e giornalista di Pressenza, autore del libro Il nazista che salvò gli ebrei. Storie di coraggio e solidarietà in Danimarca.  Pubblicato dalla casa editrice Le Lettere con prefazione di Moni Ovadia. Si tratta di un saggio storico frutto di una grande ricerca.
Il caso danese è ancora oggi una storia poco conosciuta. Può raccontarci, in breve, la resistenza nonviolenta danese che portò al salvataggio degli ebrei?
A differenza degli altri salvataggi avvenuti nel corso della Shoah in altri Stati, in Danimarca l’intera popolazione, dal re fino alle persone appartenenti alle classi sociali più umili, contribuì al salvataggio degli ebrei. La resistenza nonviolenta danese, cominciò di fatto subito dopo l’occupazione tedesca del Paese. Inizialmente consistette nello stampare volantini e giornali clandestini, ma in breve tempo coinvolse molti aspetti della società. L’obbiettivo della Germania era quello di “nazistizzare” la società danese, ma non vi riuscì. Infatti, per fare un esempio, quando i tedeschi favorirono l’uscita a Copenaghen di un giornale antisemita, sul modello del Der Stürmer di Julius Streicher, questo fu costretto a chiudere per le poche vendite. Anche le mostre di letteratura così come le proiezioni di film di propaganda antisemita, vennero chiuse per mancanza di pubblico. Tra le varie forme di resistenza nonviolenta vi era anche quella di voltarsi dall’altra parte quando suonava la fanfare tedesca o di lasciare i locali – bar librerie ect – fin quando i tedeschi non se ne fossero andati. Quando la Danimarca era sotto occupazione nazista, il suo governo si rifiutò più volte di considerare la “questione ebraica” e di introdurre la legislazione antisemita, nonostante le pressioni tedesche. Gli ebrei vivevano liberi come si evince dalle testimonianze e dalle foto presenti ne libro. La resistenza nonviolenta danese mutò nell’estate del 1943, dopo le sconfitte dei nazisti a Stalingrado ed El Alamein, rimase nonviolenta ma passo anche agli scioperi e ai sabotaggi. Quando si venne a scoprire del raid nazista la popolazione danese prima nascose gli ebrei e poi li trasportò in Svezia, a rischio della propria vita. La resistenza danese cominciò ad organizzarsi proprio per salvare gli ebrei. Nel saggio vi sono molte storie e testimonianza.
Possiamo dire che lo Stato e la società in Danimarca, da un punto di vista storico, abbiano favorito una reazione collettiva in favore degli ebrei?
Certamente. Infatti in Danimarca era presente una delle più antiche democrazie d’Europa e, durante i secoli, la discriminazione e il razzismo istituzionalizzati, non solo nei confronti degli ebrei ma di qualsiasi altra persona, erano sempre stati respinti dal Parlamento. La società si era evoluta all’insegna dell’empatia e della tolleranza, includendo senza discriminazioni persone e comunità, compresa quella ebraica. In Danimarca, nel 1690 venne vietata l’apertura di un ghetto perché veniva considerato un modo inumano di vivere, mentre a Venezia, in Italia, nel 1516 venne aperto il primo ghetto a cui poi ne seguirono altri. In Danimarca inoltre gli ebrei non furono vittime di una grave forma di antigiudaismo della chiesa cattolica, come invece avvenne in Italia e in altri paesi europei. La comunità ebraica in Danimarca era perfettamente integrata, i figli delle famiglie ortodosse frequentavano anche le scuole laiche, e nel 1933 mentre i nazisti prendevano il potere in Germania, gli ebrei di Copenaghen celebravano il centesimo anniversario della loro sinagoga alla presenza di re Cristiano X.
Chi era Georg Ferdinand Duckwitz, e quanto è stata importante la sua figura per il salvataggio degli ebrei danesi?
Duckwitz, era un nazista tedesco della prima ora, che dal 1933 al 1935 lavorò presso l’ufficio politica estera del partito nazista sotto Alfred Rosenberg. Duckwitz fu l’unico politico nazista, di alto rango (membro del ministro degli esteri del Terzo Reich), a opporsi alla deportazione degli ebrei. Egli inoltre partecipò alla congiura per assassinare Hitler. Quando il 28 settembre 1943, Duckwitz, membro dell’ambasciata tedesca a Copenaghen, venne informato dell’imminente deportazione dei circa settemila ebrei danesi, questi, che prima aveva fatto sabotare due navi per la deportazione e fornito molti passaporti per far fuggire gli ebrei, avvertì subito i suoi amici del partito socialdemocratico che dettero l’allarme dell’incombente pericolo alla comunità ebraica. Senza l’intervento di una figura di così alto spessore, che aveva accesso alle informazioni, nessuno avrebbe creduto all’allarme perché la stessa comunità ebraica si credeva al sicuro in Danimarca. Anni dopo la fine della guerra Duckwitz venne insignito del titolo di Giusto tra le Nazioni dallo Yad Vashem. Duckwitz rappresenta un esempio di disobbedienza agli ordini, lui ha sempre mantenuto vigile la sua coscienza e, al momento opportuno, ha avuto il coraggio di fare tutto quello che poteva per salvare gli ebrei, poiché riteneva sbagliati gli ordini che gli erano stati impartiti. Proprio per questo è molto importante far conoscere la sua storia.
In merito all’onorificenza ricevuta da Duckwitz, potrebbe raccontarci meglio chi sono i Giusti tra le Nazioni?
Non dobbiamo pensare a supereroi o persone straordinarie, perché erano persone normali e comuni, uomini e donne di diverse condizioni sociali e confessioni religiose, ma che condividevano un’umanità, un’empatia e la capacita di mettersi nei panni degli altri. Questi avevano avuto la capacità di mantenere attiva la propria coscienza critica e questo gli permise di aiutare gli ebrei invece di restare indifferenti e/o abbracciare i nuovi usi o costumi e la nuova moralità degenerata. Lo Yad Vashem decise di conferire questo titolo ai non ebrei che durante l’Olocausto non rimasero indifferenti ma contribuirono a salvare gli ebrei. Il primo maggio 1962 fu inaugurato a Gerusalemme, presso il mausoleo dello Yad Vashem, il viale dei Giusti che poi si allargò diventando il Giardino dei Giusti. Alla fine del 2007 erano stati riconosciuti 22.000 Giusti, e non essendoci più spazio per le piantumazioni venne costruito, nel Giardino dei Giusti, il Muro d’onore dove vengono scolpiti i nomi dei nuovi Giusti. Ci tengo a specificare come siano stati riconosciuti ufficialmente ventidue danesi Giusti tra le Nazioni, tuttavia potevano esserne riconosciuti a migliaia però la Resistenza e gli altri gruppi che contribuirono al salvataggio degli ebrei decisero di non far pervenire il loro nome allo Yad Vashem, poiché reputavano le loro azioni collettive e come normali atti da compiere in determinate circostanze.
Guardando all’esempio danese, pensa sia possibile, attualmente, intraprendere un modello politico basato sulla nonviolenza in grado di portare avanti battaglie umanitarie e di cambiare la situazione?
Sicuramente sì, però bisogna cominciare a parlare di più di nonviolenza anche nei mass media, per cominciare a costruirci una cultura e una coscienza collettiva intorno. Proprio per questo reputo estremamente importante e significativa l’esperienza dell’Eirenefest il Festival del libro per la pace e la nonviolenza. Al contempo devo constatare purtroppo come volte nella nostra società si assista ad un esaltazione della violenza. Anche nelle scuole si parla pochissimo di nonviolenza facendo passare che l’unica forma di resistenza possibile si attui con la violenza armata. Dal punto di vista politico si potrebbe cominciare attuando la nostra Costituzione che spesso viene vantata che non è mai stata davvero attuata. L’Italia infatti, come sappiamo, nonostante la Costituzione, vende armi a Paesi in guerra che spesso non rispettano nemmeno i diritti umani. Bisognerebbe investire sul serio sulla cooperazione internazionale e sui corpi di pace al fine di cercare di prevenire i conflitti armati. Collettivamente dovremmo far capire ai governi così come alle imprese, il bisogno di mettere da parte il profitto economico senza fine in favore dell’umanitarismo col fine di evitare molti conflitti armati.

 

 

In apertura: Gli autobus bianchi della croce rossa, che attraversano la Danimarca.
Qui sopra: Prigioniere ebree appena rilasciate da Ravensbrück, attraversano il
confine danese alla stazione di Padborg durante la loro fuga in Svezia. Aprile 1945, Padborg, Danimarca. Foto di Public Domain e tratte dal libro di Andrea Vitello edito da Le Lettere.