La Campania è la terza regione d’Italia per consumo di suolo; segnata da uno strutturale dissesto idrogeologico che da Sarno a Casamicciola fa sentire il suo peso e il suo portato periodico di morti. La conurbazione che da Caserta va a Salerno è una delle più densamente abitate d’Europa così come è non invidiabilmente ai primi posti per i suoi livelli di polveri sottili PM10 e PM2,5 nell’aria buona parte della provincia di Napoli. La Campania, patria della dieta mediterranea, è la seconda d’Italia per obesità infantile ed ha visto negli ultimi 10 anni una vera esplosione di insediamenti della Grande distribuzione organizzata, vere e proprie piazze di spaccio legalizzato di junk food espressione di una agricoltura malata di globalismo, di chimica di sintesi, di pesticidi e di promotori della crescita animale nel mentre si celebrano le eccellenze del territorio i cui produttori faticano poi a guadagnarsi un futuro. È una regione dove la Piana del Sele, oramai come Almeria in Spagna, è sommersa da un mare di serre che affogano i Templi di Paestum e desertificano il suolo.
Eppure in questa Regione si continua a costruire in modo indiscriminato e il Consiglio regionale è impegnato proprio in questi giorni nella discussione di una riforma della Legge urbanistica del 2004 che riapre porte e finestre ad una espansione edilizia senza finalità sociali capace di premiare solo la rendita; la politica dei lavori pubblici invece di essere concepita come cura diffusa del territorio è esaltata nel concentrarsi intorno a grandi opere con impiego massiccio di risorse, di asfalto e cemento armato e, particolare di non scarsa importanza, di una catena di sub-appalti oramai senza limite per la gioia della camorra e dello sfruttamento del lavoro, anche grazie alla recente manomissione del Codice degli appalti operato dal governo Salvini-Meloni.
Ed è proprio questa la Regione dove oltre 100 tra Associazioni culturali, di volontariato, tantissime diffuse nel territorio della Campania e di rilievo nazionale come Slow Food, Arci, Libera, Fillea, Spi CgilL, tanti circoli di Legambiente e singole personalità e competenze si sono messe insieme e hanno dato vita ad una proposta organica che interviene su tre capitoli fondamentali della lotta ai cambiamenti climatici: stop consumo di suolo e riassesto idrogeologico; rilancio fonti rinnovabili per energia pulita e acqua pubblica; riorientamento strategico dall’agricoltura per passare dalla produzione intensiva di cibo, energivora e climalterante, a quella sostenibile con l’idea, proprio su energia pulita e cibo sostenibile, di realizzare un grande patto tra le aree interne dell’Appennino, la vera polpa di un futuro sostenibile (eppure lontane da ogni attenzione seria e abbandonate ad una condizione di spopolamento), e l’osso fatto di asfalto e cemento da convertire che è la metropoli: concentrare in modo nuovo e originale risorse e idee significative in quella parte della Regione.

Quel che serve è un vero e proprio mutamento di paradigma.
Conversione più che transizione e resilienza, parole fin troppo abusate: e quindi, mutare, cambiare nel profondo logiche e pratiche che non reggono alla prova della crisi climatica che colpisce ovunque ma sicuramente in misura maggiore i settori più esposti della società. E poi, certo che servono in questo quadro anche misure di adattamento e di mitigazione, urgentissime perfino a cui non si presta l’attenzione necessaria: a cominciare dal verde nelle città, dalla sua diffusione e dalla sua cura. Come ci insegna con forza Stefano Mancuso, un’area verde all’interno di una città significa 4-5 perfino 6 gradi in meno di temperatura, oltre ad un’aria più pulita da respirare: lo sanno bene i nostri anziani per i quali in diversi mesi dell’anno piazze e strade diventano luoghi proibitivi della loro città spingendoli ancor di più nell’isolamento di case il più delle volte non fresche. E quanto c’è da cambiare anche dal punto di vista della tutela: è preferibile che un bel verde faccia da cornice a piazze e strade anche storiche, a tetti, con il placet delle Sovrintendenze o è meglio che si mantengano puristici stili conservativi per spazi che esposti così alle crescenti isole e bombe di calore diverranno inabitabili e infrequentabili, anche per i tanto ricercati turisti, per sempre maggiori mesi all’anno? A Napoli ci volle la svolta di Bassolino per liberare Piazza Plebiscito dalle auto: sembrava inimmaginabile all’epoca. Oggi chi rinuncerebbe a quella Piazza per rifarne un parcheggio? E se ora dovessimo ri-progettare le nostre Piazze, anche quella, anche Piazza Municipio e tutte le altre come parte di un unico grande polmone verde della città? Provocazione? Forse…
La raccolta firme di Rigenera per una proposta che non è una petizione qualsiasi perché il Consiglio Regionale dovrà esaminarla infatti entro 90 giorni dalla sua consegna – così detta lo Statuto della Campania – è partita lo scorso 20 gennaio (tutte le notizie sulla raccolta e su dove firmare sulle pagine social di Rigenera e su www.infinitimondi.eu ) e si è aperta davvero una bella e positiva sfida. Sulle idee e sulle cose. E si vedrà anche se e come la politica saprà e vorrà rispondere su un terreno dove i margini per la propaganda sono esauriti.





