Si può insegnare senza ricevere uno stipendio? Purtroppo sta accadendo. Addirittura da 5 mesi, come segnalano a Left delle insegnanti supplenti di un istituto di Busto Arsizio. Una scuola statale, non privata. Dove da ottobre le docenti non ricevono il compenso del proprio lavoro. Il fenomeno comunque è più esteso, se scorriamo le cronache sindacali recenti che riguardano la scuola.
Il 13 febbraio scorso sul problema del ritardo degli stipendi dei precari con contratto breve e saltuario si è tenuto un sit-in della Flc Cgil davanti al ministero dell’Istruzione e del merito. Un altro sindacato della scuola, Gilda, il 26 febbraio ha sottolineato la necessità da parte dei ministeri dell’Istruzione e dell’Economia di trovare soluzioni. «Continuano a segnalarci ritardi sui pagamenti degli stipendi dei precari, anche in alcuni casi di due o tre mesi», si legge nel comunicato sindacale. Gilda sollecita i ministeri a trovare «procedure di pagamento meno farraginose per rispettare il sacrosanto diritto di chi lavora, ad essere retribuito alla fine di ogni mese».
Procedure che nel caso delle insegnanti di Busto Arsizio mostrano molte lacune. Cinque mesi senza stipendio e senza sapere nemmeno per quale motivo. Il ritardo dipende dalla scuola e quindi dall’autorizzazione a pagare le supplenti? O dipende dall’organizzazione complessiva dei ministeri? Le docenti attendono da ottobre, appunto. Il loro caso è finito anche nelle cronache locali. Quello che vogliono sottolineare nella loro lettera a Left è un aspetto di cui non si tiene sufficientemente conto: la tutela di diritti costituzionali.
«La burocrazia non può essere un alibi per privare un insegnante di diritti umani e costituzionali, quali il diritto alla vita e al lavoro stipendiato – si legge -. Un diritto alla vita e alla salute che vengono fortemente compromessi, nel momento in cui chi occupa posti di responsabilità non si preoccupa minimamente di lasciare per 5 mesi senza stipendio delle persone e conseguentemente le loro famiglie. Alcune di noi, a Natale, non hanno neanche potuto permettersi di fare un regalo al proprio figlio, altre non hanno potuto neppure godersi quel tempo di pausa, per le preoccupazioni gravose, conseguenti alle incombenze che non potevano essere pagate, altre non hanno potuto soddisfare cartelle esattoriali con gli stralci pattuiti dalla normativa di cui sono decadute le condizioni.
Chi ci rimborserà per questi danni morali e economici?».
Le insegnanti lamentano il modo in cui è andata avanti la loro vicenda. «È questa indifferenza che pesa, come se il problema fosse di chi lo subisce suo malgrado e non di chi lo ha creato. È questo tunnel di burocrazia che diventa un alibi per qualsiasi cosa in Italia, per togliere diritti acquisiti e costituzionali. È questa deresponsabilizzazione della pubblica amministrazione in ogni suo livello, dinanzi a situazioni che non possono essere ignorate e che devono essere prontamente risolte, mettendo in campo, tutte le risorse possibili per farlo. È questo inaccettabile scaricabarile, tipicamente italiano, dove nessuno pare responsabile dei danni arrecati e soprattutto nessuno pare sentirsi chiamato alla sua soluzione immediata».
«Ci viene chiesta, praticamente, da mesi – continua la lettera – una schiavitù volontaria con il ricatto morale del punteggio o della necessità di lavorare, ci viene chiesto di essere sempre al massimo della performance in aula, senza essere messe nelle condizioni di serenità necessarie per dare il massimo ai ragazzi (ma nonostante questo lo abbiamo sempre fatto, tenendo duro, in una resistenza che deriva dall’amore per il nostro lavoro e dalla passione che cerchiamo di metterci ogni giorno). Veniamo, anzi, ostacolate nella coerenza, dato che insegnare nei cosiddetti Focus di educazione civica, la Costituzione, nelle sue varie implicazioni connesse agli stili di vita, stride ogni giorno di più con l’ambiente che si è creato nella scuola».
Parole infine di apprezzamento per l’istituto in cui insegnano, «una ottima scuola dal punto di vista dei docenti profondamente umani e preparati, sempre disponibili e interessati ai ragazzi prima come persone e non soltanto come alunni». E l’amarezza del non vedere riconosciuto un lavoro nel quale, come accade a moltissimi docenti italiani, mettono interesse e passione.
Nella foto: frame di un video di una manifestazione di docenti precari a Roma, 2 settembre 2020