Diana Torti, musicista, cantante e lirista, e Sabino de Bari, chitarrista e compositore, formano una coppia artistica impegnata sin dal 2006 in progetti assai particolari, caratterizzati da una continua ricerca che va ad esplorare territori diversi ed apparentemente lontani, dalla musica popolare, al jazz, alla musica classica contemporanea, che vengono utilizzati e rielaborati in una direzione del tutto originale, come brillantemente dimostrato nelle loro più recenti collaborazioni nei dischi On a Cloud (a nome di Diana del 2019 e dedicato alla cantante jazz Jeanne Lee) e Lo racconta il mare, intestato a Sabino e ispirato alla propria terra natale (Molfetta) e pubblicato nel 2022. Da alcuni anni hanno trasferito la propria residenza a Londra dove hanno trovato terreno fertile per la realizzazione dei propri progetti. Li abbiamo incontrati in attesa di ascoltarli dal vivo il 10 aprile a Roma al Teatro l’Arciliuto.
Il nuovo album It’s all we have (Tambora Music) per sola voce e chitarra, si caratterizza come un emozionante racconto di poesie in musica, laddove la voce suadente di Diana esplora le liriche di Emily Dickinson e di Christina Rossetti, muovendosi tra profonde inquietudini ed aperture luminose, e rapportandosi dialetticamente con l’originalissimo fraseggio di Sabino.
Per prima cosa gli chiediamo dell’idea da cui nasce questo nuovo disco che giunge dopo due importanti progetti, assai diversi tra loro, come On a Cloud e Lo racconta il mare. «Questo progetto è per noi davvero nuovo – ci spiega Sabino – e diverso dai precedenti. Il modus operandi nel nostro lavoro quotidiano di ricerca di nuovi codici espressivi ci impedisce di ripeterci e di percorrere nuovamente strade già battute. In questo caso- aggiunge il musicista – il nucleo del progetto ha una valenza “politica” in senso lato e nell’accezione più ampia del termine: un’occasione di riflessione su alcune tematiche che partendo dalla sensibilità personale, vanno poi a sfociare in un discorso che investe l’intera società».
«Direi che è una reazione agli eventi esterni – aggiunge Diana -, nasce un’esigenza di reagire e di non rimanere passivi che scatta nel momento in cui ci si rende conto che la bellezza del rapporto con la natura e con gli altri esseri umani viene costantemente negata dal potere esercitato in molteplici forme, attraverso l’estremismo violento, il neoliberismo che acuisce le disuguaglianze, le politiche populiste, che portano alla negazione dei diritti umani e alla minaccia dell’ambiente. Come artisti non possiamo tacere, non possiamo chiudere gli occhi di fronte a tutto ciò che accade intorno a noi».
Potremmo dire che la vostra è una ribellione che si realizza in questo caso attraverso la poesia? «Nello sviluppo del progetto – risponde Diana – hanno avuto fondamentale importanza i testi. Oltre a quattro nostre liriche originali, due mie e due di Sabino, tutte in inglese, troviamo tre poesie di Emily Dickinson e una di Christina Rossetti riportate in lingua originale. Le immagini che ci proponevano queste poetesse di fine Ottocento ci sono apparse invece perfettamente attuali, le loro liriche rispondevano totalmente a ciò che volevamo esprimere, a partire da aspetti e sentimenti universali e senza tempo. Amando queste poetesse, abbiamo realizzato l’idea che una voce femminile portasse con sé un’immagine di positività e di speranza (come in “Hope” di Emily Dickinson) nell’affrontare tematiche complesse, che potevano suscitare viceversa rabbia o rassegnazione. In questo modo si collegano a un movimento interiore più intimo, ed il titolo dell’album It’s All We Have vuol rappresentare l’urgenza, come artisti, di produrre musica, esprimere idee, valorizzare la bellezza umana anche nella lotta che ognuno di noi affronta nella vita di tutti i giorni. A queste medesime tematiche si ricollegano i due testi scritti appositamente da me: “Beyond The Clouds”, dedicata al tema dell’amicizia, e “In Spite of Everithing”, che chiude l’album e che proponiamo alla fine dei concerti proprio come un inno alla speranza».
«Nei miei testi – aggiunge Sabino – ho operato una sorta di assemblaggio di materiali preesistenti. Il brano di apertura del disco The Extra Something è una sorta di ironico collage di slogan pubblicitari per una bevanda miracolosa, una specie di super-aperitivo in grado di soddisfare e rigenerare chiunque. Il testo di “Cuba Libre” è invece estratto di peso da un discorso del generale della guerra ispano-americana di fine Ottocento, John Hay, che nella sua banalità surreale rappresenta, ieri come oggi, l’inutilità e l’assurdità totale di tutte le guerre». E ancora racconta Sabino de Bari:«“Whisky” va invece a recuperare alcune strofe tipiche della tradizione del Blues più arcaico, che si appoggiano però ad una base musicale nella quale il retaggio del Blues, almeno nella forma oggi usualmente riconosciuta, è a stento ravvisabile. Si tratta di un brano in realtà scritto da me molti anni fa, e la parte musicale risente delle mie ricerche intorno alla musica seriale».
Musicalmente il lavoro ha una sua peculiarità non riconducibile alle usuali categorie musicali, rileviamo. «L’intento di questo album – continua Sabino che è l’autore di tutte le musiche – vuole essere più “leggero” rispetto ai precedenti, e pur partendo dai presupposti della mia ricerca che coniuga musica etnica, ed in particolare mediterranea, folk e Jazz, rimane questa volta più legata alla forma-canzone alla ricerca di una capacità comunicativa più diretta e spontanea».
Il jazz ed il canto blues riecheggiano in particolare nelle inflessioni vocali e nella pronuncia delle note di Diana, ed in particolare nei pezzi più virtuosistici che si sviluppano senza parole, come “Sonhos de Marcelo” e in “Melodia”. «La scrittura musicale di Sabino – precisa Diana – si realizza in stretta relazione con l’immagine sonora della mia voce e del mio modo di cantare. Lavorando insieme da tanti anni si è creato tra noi un rapporto umano, oltre che professionale, con una prassi lavorativa che naturalmente si evolve nel tempo di pari passo al nostro rapporto personale ed artistico, e che oggi non è, e non potrà più essere, lo stesso di tre o quattro anni fa».
Come procedete nella composizione? Nasce prima la musica e poi i testi o viceversa?
«In realtà non abbiamo uno schema creativo preordinato, difficile da proporre in maniera razionale – approfondisce Diana – uno di noi ha un’idea o una suggestione, sia essa di parole o di suoni, e la propone all’altro, e da lì in poi procediamo insieme mettendo insieme un passo dopo l’altro». Alla luce di tutto questo, siamo curiosi di sapere che direzione prenderanno i prossimi progetti. «Devo ammettere – commenta Sabino – che man mano che andiamo a proporre questo lavoro dal vivo, il nostro rapporto con il senso più profondo dei testi della Rossetti e della Dickinson, stesse ancora maturando e fosse ancora in divenire, andando a scoprire volta per volta nuove sfumature o significati nascosti e più profondi, grazie anche al feed back che ci restituisce il pubblico che ci ascolta».
«In questo momento – aggiunge Diana – ci stiamo focalizzando nel rapporto dialettico con chi ci ascolta, cercando di aprire nuovi canali di comunicazione mediante nuove connessioni. Tutto ciò ci sta portando ad un ampliamento del progetto con nuovi sviluppi e con nuovi brani che vedranno la luce con una nuova formazione allargata ad un quartetto anziché ad un duo come è stato fino ad ora».«Un album di solito è considerato un punto di partenza o a volte un punto di arrivo – conclude Sabino – in questo caso vorremmo considerarlo una tappa di transizione verso nuovi sviluppi che abbiamo in animo di realizzare abbastanza presto. In questa direzione, negli ultimi concerti dal vivo tenuti in Italia, proprio per l’esigenza di realizzare un più stretto contatto con il pubblico, superando anche eventuali difficoltà di comprensione legate all’uso della lingua inglese, abbiamo incluso nel set le voci recitanti di Fabiana Aniello e dalla poetessa Silvia Luminati, proponendo sia le liriche incluse nel disco, tradotte in italiano, sia proprie poesie originali».