Il debito pubblico non è il convitato di pietra di questa stagione che passerà per le elezioni europee, per condurci alla legge di Bilancio del 2025. È un elemento dinamico, l’interpretazione del quale definirà la prospettiva futura del Paese.
Lo ha spiegato molto bene, al Festival dell’economia di Trento, un italiano che si trova nella posizione per farlo con autorevolezza in questo passaggio storico: Paolo Gentiloni, commissario europeo uscente all’Economia.
Questo è l’anno nel quale entra in vigore il nuovo Patto di stabilità e crescita dell’Unione europea che prevede, per i Paesi con un debito superiore al 90% del Pil, che provvedano a ridurlo di un punto percentuale ogni anno; e per i Paesi con un debito compreso tra il 60% e il 90%, che lo ridimensionino dello 0,5% all’anno.
«Sulla spesa corrente – spiega Gentiloni – occorre un certo equilibrio, ma in ogni caso il limite alla crescita economica non deriva dalle regole di bilancio riformate: il rischio è che se non mettiamo il debito su un percorso di riduzione che le nuove regole consentono graduale, ragionevole e per niente drammatico, una reazione non arriverà dal mio successore bensì dai mercati e penso che l’Italia non lo meriti e non possa permetterselo». La credibilità è sempre il parametro che definisce il debitore agli occhi del creditore. Perciò, chiosa Gentiloni «forse sono troppo ottimista, ma spero che gli italiani, e soprattutto chi governa, pensino che una graduale riduzione del debito sia un fattore positivo. Il nuovo Patto di Stabilità non deve preoccupare: ridurre il debito è un’esigenza democratica».
In fin dei conti, osserva il commissario, «il problema dell’Italia non è di sicuro il recepimento delle risorse per gli investimenti. Il limite alla crescita non deriva dalle regole di bilancio, … c’è un grande margine in Italia per gli investimenti, e in alcuni casi c’è anche un surplus». Quindi «sarebbe un grandissimo errore per un Paese come il nostro ignorare che un graduale e flessibile percorso di aggiustamento del debito è la soluzione più giusta. Fa bene alla nostra economia, agli investimenti, fa bene ai cittadini».
Insomma, un commento chiaro alla narrazione della destra che, da una parte, insiste nel reclamare nuovi fondi Ue mentre stenta a condurre in porto gli enormi finanziamenti del Pnrr; dall’altra, vuole portarci in un’Europa delle piccole patrie, confederale e sussidiaria: una palese contraddizione.
E, in questo senso, Gentiloni ci interroga: «Vi ricordate di quel brutto acronimo, Pigs,con cui ci chiamavano nelle fasi più dure della crisi dell’eurozona? Beh, adesso questi Pigs volano. E lo fanno perché hanno agito sulla riduzione del debito». Pigs (maiali) ricordiamolo, è un termine che fu adottato, nelle ore più buie della crisi degli anni Dieci di questo Secolo, dalla stampa internazionale per designare i Paesi che affondavano nella crisi del debito: Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Ai quali si aggiunsero successivamente Irlanda e Gran Bretagna (Piiggs). Oggi, il debito costa a quei Paesi meno di quanto a noi non costi il nostro. Gli investitori gli riconoscono, insomma, maggiore credibilità.
Se vogliamo ricostruire una consistente prospettiva di crescita economica, dobbiamo riconoscere questo fatto. E dotarci così della capacità di attuare politiche industriali e difendere il welfare pubblico: previdenziale, sanitario e degli ammortizzatori sociali, per non parlare della scuola e della formazione. Tutto ciò che definisce la qualità della cittadinanza. Come dice Gentiloni, in ultima analisi, è una questione di democrazia.
IL FERMAGLIO di Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare
Nella foto il ministro dell’Economia e finanze Giancarlo Giorgetti e il viceministro Maurizio Leo, Roma 9 aprile 2024 (governo.it)