Il voto per il Parlamento europeo è fondamentale perché questa istituzione dovrà operare scelte determinanti per il futuro, che dovrebbero influire sui rapporti, le strategie, le influenze con il resto del mondo, molto al di là delle piccole beghe nazionali

Le elezioni dell’incertezza, del dubbio, dell’indecisione. Pochi giorni ancora e si terranno queste elezioni europee e finirà questa eterna e l’interminabile campagna elettorale. Eppure, nonostante i lunghi tempi gestatori di liste e schieramenti, la sensazione che si percepisce in molti ambienti democratici e di sinistra è quella dello scoramento se non della rinuncia.
Un vincitore comunque c’è già, certo e indiscutibile: il partito dell’astensione. Nessun partito o schieramento avrà altrettanto seguito rispetto a quello dell’astensione. Un dato che dovrebbe far riflettere, e su cui invece ci si sofferma poco o nulla se non con qualche fugace dichiarazione di ipocrita rammarico.
L’astensione in verità fa comodo a tutti gli schieramenti, perché il passaggio di pochi voti da una parte all’altra può determinare la vittoria e la sconfitta, che con alte affluenze non sarebbe possibile. Pochi voti, con un forte astensionismo, hanno un potere decisionale molto grande. E quindi non è interesse di alcuno, di fatto, che l’affluenza sia maggiore, basta riuscire ad attrarre quei pochi numeri sufficienti e si può cantare vittoria o piangere sconfitta. Le recenti elezioni sarde, e non solo, lo dimostrano.

Poco importa che la rappresentanza ne risenta. In nome di quale popolo si governa se il vincitore è scelto da meno di un ottavo degli elettori? La Meloni e FdI non governano forse sulla base di un 25% della metà degli elettori? Altro che far scegliere i cittadini, il popolo, chi li governerà, come promette la Riforma meloniana.
Ecco perché una vera campagna, ossessiva, intensa, decisa, convinta, continua per richiamare alla partecipazione non viene fatta da nessuno. Anzi, ci sono casi in cui si è auspicata una affluenza ancora più bassa come unica speranza di vittoria (come ad esempio, nelle elezioni per ricoprire il seggio vacante di Monza lasciato dal defunto Berlusconi, dove ha votato il 19,25% degli elettori).

In questo quadro desolante, l’elettore medio, l’elettore democratico e in specie il militante del centrosinistra e della sinistra in genere, si trova ancor più spaesato del solito. Si tratta pur sempre di elezioni di un Parlamento che dovrà operare grandi scelte che dovrebbero influire sui rapporti, le strategie, le influenze con il resto del mondo, molto al di là delle piccole beghe nazionali.
Eppure domina un senso di disorientamento, indecisione e disagio enorme: chi votare? Chi sentire vicino alla propria sensibilità, alla propria storia, ai propri ‘ideali’? Chi sentire rappresentante delle nostre aspirazioni?
Perché se da un lato è evidente quanta distanza esista rispetto alle destre, lo schieramento avverso, dall’altro può bastare, come unica motivazione forte, l’appello al voto per non far vincere la destra?

L’offerta, come sempre a sinistra, è variegata, multiforme, camaleontica. Quali le possibilità allora?
Votare Pd? Il partito più grande (ma nonostante tutto non egemone) che, teoricamente ha maggiori possibilità di influire sulle scelte future del Parlamento europeo che sarà?
E però, si può accettare un partito che rimane favorevole, ad esempio, al finanziamento di ulteriori armamenti in favore dell’Ucraina? Che ha votato l’equiparazione di fascismo e comunismo? Che appoggiò Draghi, che pare riaffacciarsi quale candidato a succedere alla Von Der Leyen? Che mette l’effigie di Berlinguer sulla propria tessera provocando il risentimento di metà partito? Che negli anni ha sposato tutte le politiche liberiste, europee e nazionali? Che è e rimane caratterizzato da correnti? Insomma si può votare un partito che, per ora, mantiene tutte le ambiguità che lo hanno caratterizzato fin dalla fondazione. Può tale voto soddisfare un elettore “di sinistra” non Pd?

E allora votiamo la lista “di sinistra” Avs, tanto più che candida Ilaria Salis, e poi, in fondo, è l’unico schieramento italiano “di sinistra” che pare potercela fare a superare lo sbarramento del 4%. Ma c’è un ma, perché un voto in tal senso può significare non eleggere la Salis (sia per effetto del collegio unico nazionale che perché non candidata in tutte le circoscrizioni) ma eleggere invece un rappresentante dei Verdi. Cioè un esponente che in Europa (sono elezioni europee in fondo) andrà nel gruppo dei Verdi Europei (S.I. e Verdi dichiaratamente si divideranno a Bruxelles) che nel programma dichiarano che appoggeranno tutte le iniziative a favore dell’Ucraina compreso il finanziamento delle armi. E quindi tutta la retorica pacifista della lista vale solo come propaganda elettorale nazionale, perché in Europa le scelte poi saranno diverse. Che noioso impaccio, ostacolo, ingombro, scoglio questa benedetta guerra.

Bene, allora votiamo la Lista di Santoro, Pace Terra e Dignità. In fondo è l’unico schieramento coerentemente pacifista. Ma non sarà un voto sprecato? Perché questa lista pare abbia scarsissime possibilità di superare lo sbarramento del 4% e rappresentare quindi l’ostacolo ulteriore per chi aveva più chance di farcela.
Insomma l’incertezza regna sovrana, i mal di pancia si rinnovano, i sensi di colpa si moltiplicano e quel che regna è il disorientamento.
La speranza è che, nonostante questo quadro triste alla fine non si cederà allo scoramento e si voterà, si sceglierà tra l’uno o l’altro e non si contribuirà alla crescita dell’astensione. Forza compagni, proviamo ostinatamente a mantenere viva la voce, andiamo a votare, scegliamo: “ha da passà ‘a nuttata”.

L’autore: Lionello Fittante è tra i promotori degli Autoconvocati di Leu, ex componente del Comitato Nazionale del movimento politico èViva