Con il libro" Ignorare l’assenza" Valeria Roma ha il merito di farci conoscere le tanti voci di scrittori di origini palestinesi che vivono e scrivono in Italia. E più in generale ci parla della narrativa palestinese come potente forma di resistenza

Il ritmo incessante degli attacchi contro la striscia di Gaza e il popolo palestinese che continuano e si protraggono anche nonostante la storica sentenza dato dalla Corte Internazionale di Giustizia il 19 luglio scorso (e l’avvio dell’indagine sull’ipotesi di genocidio), ci catapulta drammaticamente nello sconforto sottraendo speranza ad un possibile “cessate il fuoco”. Tuttavia, nello sconcerto del presente e nell’amara incognita di un prossimo futuro, l’arma della letteratura ci restituisce quella sorta di resistenza per la quale è la memoria a farsi guida nei meandri di questo nostro tempo storico così tanto violento, buio e incerto. Con forza dirompente ma in continuità con un modo di esistere e di resistere, spazzando via ogni possibile dimenticanza, una antologia di testi a cura di autori palestinesi fa da contrappunto ad una realtà e ad una storia «invalidate dalla ideologia coloniale e razzista più potente mai esistita» che ha cancellato «attraverso una propaganda progettata ed eseguita nei minimi dettagli, la vita collettiva, le aspirazioni individuali, la terra e l’infanzia del popolo palestinese».
È la meritoria opera prima di Valeria Roma, Ignorare l’assenza. La letteratura palestinese nell’immaginario italiano (Meltemi Linee, 2024), corredata da una introduzione di Pietro Basso, che molto ha scritto di disuguaglianza e fondamenti sociali del razzismo. Sono temi delicati, ma non si può tacere su quel che si legge in filigrana dietro una certa ideologia sionista ma anche dietro una certa cultura italiana cattocomunista. Pensiamo per esempio a quando nel 1965, Pier Paolo Pasolini dirisse il film/documentario Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo «sfoggiando un repertorio concettuale di chiara matrice coloniale e velato di paternalismo», scrive Roma, in cui i palestinesi vengono ritratti tutti come sottoproletari o «contadini irrimediabilmente legati a modi di vita arcaici».

Per quanto la realtà sociale palestinese sia stata scompaginata e trasformata da un secolo di colonizzazione, espropriata non solo in termini territoriali ma anche di immagini e la quotidianità del presente sia punteggiata di «caserme, demolizioni, assassinii, pogrom, sofferenze, discriminazioni, pervase da un’ansia permanente che sconfina nell’angoscia, se non nella disperazione», il popolo palestinese continua a parlare di sé «a sé e al mondo intero, con la letteratura».

Brani di singole opere letterarie contemporanee, scelti a mo’ di preziose tessere musive vengono poste con cura in questo libro, facendo emergere l’unicità di quel mosaico umano che si erge a dimensione collettiva di un popolo, fatta di tradizioni culturali, di abituali e dignitose consuetudini, a testimonianza dell’esistenza di una quotidianità che è ancora desiderio di vita; creatività. Una sorta di racconto corale che aiuta a comprendere dove dimori e quale sia – oggi – la vera Palestina, grazie ad una letteratura che la rende viva, ponendola agli occhi del mondo come questione sociale e identità di popolo, ancor prima che nazionale.

La coperta, il pane, le penne di pavone, il baule, la bottiglia, i fazzoletti di seta, il caffè, il sapone, le chiavi … sono solo alcuni dei protagonisti dei racconti, segni identificativi di questo accurato percorso letterario. «Oggetti-chiave» scrive l’autrice «che puntellano l’analisi delle storie; segnavia, punti di riferimento simbolici nel percorso di ricostruzione della storia palestinese» dove «la frammentazione costituisce una cifra della ricerca. Ma chi scrive sa che questo è il prezzo da pagare per provare a stare in equilibrio nella complessità, cercando nuove soluzioni, formulando proposte impensate».
In questa raccolta si possono leggere scritti scelti di più autori di origine palestinese, immigrati in Italia che hanno adottato l’italiano come lingua originale di scrittura, o anche di autori di origine palestinese che hanno scritto nella propria lingua madre e sono stati tradotti poi in italiano.

Salwa Salem, oltre che essere voce autorevole della letteratura palestinese contemporanea, può di certo essere considerata una pietra miliare quando, nel 2009, pubblica Con il vento nei capelli per i tipi di Giunti editore. Il suo stile narrativo, dotato di rara profondità e bellezza, ripercorre gli eventi storici e le trasformazioni umane da essi provocate in terra palestinese e che l’autrice condensa sapientemente in immagini, idee e lotte da diffondere. Dalla strage del piccolo villaggio di Wadi al-Badàn del 1936 per mano degli occupanti inglesi, al massacro di Deir Yassin del 9 aprile 1948, uno degli avvenimenti storici più di altri scientemente occultato e oscurato, dove paramilitari sionisti violentarono ed uccisero oltre 250 civili palestinesi, in prevalenza donne, bambini e anziani. Il 1967 sarà poi l’anno della guerra dei sei giorni con la quale Israele, appoggiata e armata dal governo statunitense, occuperà totalmente la Cisgiordania e Gaza e i profughi palestinesi precedentemente fuggiti, perderanno il diritto di tornare nella loro terra. Scrittrice, insegnante, traduttrice nonché militante politica, le storie raccontante da Salwa Salem sono memorie preziose e, come tali, vanno difese con la scrittura per preservarle dall’oblio; «un tesoro da diffondere, e non da tenere chiuso e nascosto» in un baule.

Come anche scrive Murid Al-Barghuthi in Ho visto Ramallah (Ilisso,1997), fare poesia diventa quella imprescindibile risorsa che restituisce «il reale così brutalmente profanato. L’unica via per tornare ad essere da “figli dell’idea di Palestina” a “figli della Palestina”».
Ignorare l’assenza. La letteratura palestinese nell’immaginario italiano diventa così un prezioso strumento di conoscenza che contribuisce all’apertura di nuovi orizzonti, conferendo maggior valore ad una letteratura italiana che sceglie di restituire – anche se solo idealmente – qualcosa a chi, da lunghissimo tempo, ne è stato indebitamente privato.

Una metodologia di studio e di ricerca che vuole liberare la letteratura italiana dai ristretti confini di una identità nazionale ancora e fin troppo spesso ancorata e «ferma al modello nazionalistico e patriottico di epoca risorgimentale», ponendola in una ottica interculturale su suolo italiano. In una prospettiva cioè – oggi più che mai – urgente e necessaria.
Se l’età dell’umanesimo si è andata progressivamente perdendo a scapito di una visione solidale del mondo, e le drammatiche spaccature sociali pervadono in profondità tutte le società mondiali, viene allora naturale riflettere come la questione palestinese sia e sia stata facilmente investita da una sorta di forza simbolica riconosciuta da tutti coloro che non si arrendono ad una dolorosa ineluttabilità dei processi storici.

L’autrice: Esperta di intercultura, Clara Santini è vice presidente Carminella APS e docente di lingua italiana L2