"Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza" di Giorgio Barberis e Roberto Lasagna è un libro che evidenzia il rigore etico e il coerente impegno civile del regista inglese. Una lezione politica ed umana importante in un’epoca come questa segnata da profonde ingiustizie
Quando uno storico del pensiero politico, Giorgio Barberis, e uno psicologo e critico cinematografico, Roberto Lasagna, dialogano incrociando metodologie e percorsi diversi, ciascuno con le lenti del proprio ambito di studi, si dà vita ad un libro stimolante, che indaga, in questo caso, la valenza politica della produzione cinematografica di uno dei più notevoli registi degli ultimi decenni. Ken Loach. Il cinema come lotta e testimonianza (Edizioni Falsopiano, Isral, Alessandria 2024), presentato in occasione dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, non vuole essere una biografia tout court del regista britannico, ma intende mettere in luce la straordinaria coerenza della produzione di Loach e il rigore etico che contraddistingue non solo la sua opera, ma la sua stessa vita. Basti ricordare il rifiuto del premio conferitogli dal Torino film festival il 21 novembre 2012 per solidarietà con alcuni lavoratori licenziati a causa dell’esternalizzazione dei servizi del Museo nazionale del cinema (episodio ricordato dallo stesso Alberto Barbera, allora direttore del Museo, nella nota in esordio al volume).
Il volume si apre con un saggio di Barberis, che ripercorre le tappe principali del «presente impresentabile» nel quale viviamo, caratterizzato dalla fase terminale dell’ideologia neoliberale, che ha dominato negli ultimi decenni, dalla fine della Guerra fredda e dal simbolico crollo del “muro di Berlino”, nel novembre 1989, quando si decretò a gran voce la “fine della storia”, ovvero, il massimo livello di benessere raggiungibile dall’umanità, «con una forma di governo in grado di assicurare la “sovranità” ad ognuno (la democrazia) e un sistema economico (il capitalismo), capace di garantire a tutti la possibilità di soddisfare ogni desiderio». Sistemi politici deboli, inconsistenti e miopi hanno lasciato spazio al “Finanzcapitalismo” - magistralmente descritto dal compianto Luciano Gallino - con la conseguente polarizzazione delle ricchezze e l’aumento delle diseguaglianze e delle ingiustizie. La filmografia di Loach si inserisce perfettamente in questa «transizione epocale», descrivendo «i traumi, le rotture, le sofferenze, le contraddizioni, le aporie» della nostra epoca.
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