La presidente del Consiglio Giorgia Meloni – probabilmente credendo di essere simpatica – in diretta radiofonica durante la trasmissione Un giorno da pecora di Rai Radio 1 ha inviato un messaggio in cui dice di stare male ma di essere costretta a lavorare perché non ha “particolari diritti sindacali”.
La battuta sarebbe già di cattivo gusto così. Meloni, a differenza dei 3 milioni di italiani, il 13% del totale, non ha il problema di tornare a casa povera anche dopo un’estenuante giornata di lavoro. Sono persone che hanno una retribuzione annuale uguale o inferiore ai 6.000 euro, a cui andrebbero aggiunti altri 3 milioni di lavoratori irregolari e in nero.
Meloni, pur lavorando, potrà fare visite e accertamenti medici, al contrario di circa 4,5 milioni di italiani che hanno rinunciato a visite o accertamenti medici nel 2023 per l’incremento delle liste d’attesa, difficoltà di accesso ai servizi sanitari e problemi economici.
Ma i “diritti sindacali” a cui fa riferimento la presidente del Consiglio sembrano essere una stilettata allo sciopero generale indetto da Cgil e Uil per il prossimo 29 novembre contro la legge di Bilancio del governo. Quando il segretario della Cgil Maurizio Landini ha detto che è «il momento di una vera rivolta sociale», Fratelli d’Italia l’ha avvisato di «stare molto attento», minacciando addirittura azioni legali.
La “febbre” di Meloni è stata la scusa per non incontrare i sindacati nei giorni scorsi. La sua battuta di ieri è stata l’infantile vendetta. Voleva essere simpatica, Meloni, e invece ha dimostrato per l’ennesima volta di essere maestra del gnegneismo, sconnessa dalla realtà e sana solo al cospetto di Orbàn impegnato nel baciamano.
Buon venerdì.
Nella foto: La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il primo ministro ungherese Orbàn al vertice europeo a Budapest, 7 novembre 2024