È indispensabile un intervento internazionale immediato e coordinato per fornire aiuti umanitari, supportare la popolazione e lavorare a una soluzione politica per una prospettiva di pace

Israele ha sganciato più di 85mila tonnellate di bombe sulla Striscia di Gaza, causando danni devastanti che colpiscono non solo la popolazione, ma anche l’ambiente, l’agricoltura e le risorse idriche. Secondo le dichiarazioni dell’Autorità palestinese per la qualità dell’ambiente, i bombardamenti sono stati condotti con un’intensità e una forza distruttiva senza precedenti. La terra, già ferita, è stata marchiata a fuoco da munizioni proibite. Il fosforo bianco, come una piaga infetta, ha lasciato cicatrici profonde nel suolo, avvelenando l’aria e l’acqua. Un delitto contro la natura e contro le generazioni future. Un’atrocità che sfida ogni limite dell’immaginazione, una perversione che trasforma gli uomini in aguzzini.

L’impatto delle bombe si estende ben oltre il momento dell’esplosione, creano un deserto di morte che si espande a macchia d’olio. La terra, violentata e profanata, non dà più frutti, ma solo veleno. L’acqua, un tempo elemento vitale, ora è una sentenza di morte. Questa distruzione minaccia la sicurezza alimentare di Gaza, dove molte famiglie dipendono dall’agricoltura per il proprio sostentamento. L’Autorità palestinese sottolinea come le sostanze chimiche rilasciate dalle bombe abbiano impregnato il terreno, lasciandolo in condizioni tali da rendere l’agricoltura impossibile per decenni. Il rischio non è solo per la produttività agricola, ma anche per la salute pubblica, dato che i residui chimici possono accumularsi nei prodotti coltivati e, attraverso la catena alimentare, entrare nell’organismo umano.

La situazione delle risorse idriche è altrettanto allarmante. Gli attacchi israeliani hanno danneggiato le infrastrutture idriche, causando la penetrazione di agenti inquinanti nelle falde acquifere. La scarsità d’acqua pulita a Gaza, già critica a causa del blocco imposto da Israele, è ora aggravata dalla contaminazione delle risorse esistenti, generando una crisi sanitaria e ambientale senza precedenti.

Un sorso d’acqua, gesto tanto semplice quanto vitale, diventa per centinaia di migliaia di persone una roulette russa. L’acqua, che dovrebbe dissetare e rinfrescare, si trasforma in un veleno insidioso, portatore di malattie e sofferenze a causa delle contaminazioni. Dove l’accesso alle cure è un miraggio, ogni goccia contaminata è una condanna, un lento avvelenamento che erode la vita, un futuro rubato. La sete, da bisogno primario, si muta in un incubo, in una costante minaccia per la salute e la dignità di intere comunità.

La ricostruzione? Una chimera. Mentre le macerie fumano ancora, qualcuno parla di cifre e tempi. Ma dietro ogni rovina c’è una vita stravolta. L’Onu stima che rimuovere le macerie derivanti dai bombardamenti potrebbe richiedere dai 15 ai 20 anni, con un costo stimato tra i 500 e i 600 milioni di dollari. Il peso della distruzione non è solo economico, ma anche logistico: le operazioni di bonifica e ricostruzione devono tenere conto delle condizioni attuali di blocco e delle difficoltà di accesso per i mezzi e il personale specializzato.

Di fronte a questa catastrofe, la possibilità di ripristinare case, scuole, ospedali e altre infrastrutture è estremamente ridotta, rendendo difficile la vita di centinaia di migliaia di residenti che ora sono senza tetto e privi delle condizioni minime di sicurezza e comfort.

Questa devastazione si traduce in un pesante impatto economico. La Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) ha pubblicato un rapporto secondo cui, se anche il conflitto dovesse concludersi a breve, l’economia di Gaza richiederebbe fino a 350 anni per tornare ai livelli prebellici. Un dato particolarmente significativo, poiché sottolinea come la distruzione delle infrastrutture e l’interruzione delle attività economiche abbiano colpito in modo profondo la base economica della regione. Gaza dipende da un fragile equilibrio economico che si basa principalmente su agricoltura, piccole attività commerciali e aiuti internazionali. La guerra e il blocco hanno distrutto questa struttura, provocando una crisi occupazionale e alimentare che non potrà essere risolta con facilità.

Le cifre delle perdite umane sono altrettanto drammatiche: 43.000 vittime accertate. Frammenti di un puzzle macabro, un mosaico di vite infrante. Donne, bambini, uomini, ridotti a statistiche in un conflitto che non conosce pietà. Ma i numeri non bastano a raccontare l’orrore. Dietro ogni cifra si nasconde una storia di dolore, di paura, di speranza infranta. Pezzi di corpo, brandelli di vita, testimoniano l’immane violenza di una guerra che non risparmia nessuno. Eppure, il numero delle vittime è destinato a salire, un monito amaro di quanto la vita umana sia fragile di fronte alla follia della guerra.

La catastrofe umana non si limita a chi ha perso la vita, ma colpisce anche chi è sopravvissuto: l’intera popolazione della Striscia di Gaza è stata costretta a spostarsi, abbandonando case, terre e affetti, mentre continua a vivere sotto un blocco che impedisce l’accesso a beni di prima necessità, come cibo, acqua e medicine.

Un’espropriazione in movimento, un’odissea di disperati che scappano da un inferno per trovarne un altro, ancora più crudele. Questo esodo interno è una beffa crudele al diritto internazionale. Donne, uomini, bambini, sospesi tra la vita e la morte, in baraccopoli fatiscenti, vittime di un’ingiustizia che li costringe a un’esistenza precaria, segnata dalla paura e dall’incertezza, condannati a un’agonia senza fine.

La distruzione di Gaza è una ferita che sanguinerà a lungo, una cicatrice indelebile sul volto di questa regione, destinata a segnare il corso dei prossimi decenni. Gli effetti a lungo termine dei bombardamenti, delle sostanze tossiche e della crisi idrica si tradurranno in una condizione di vita precaria per le prossime generazioni, che si troveranno ad affrontare i problemi lasciati in eredità da questa distruzione. Per questo, molti esperti ritengono indispensabile un intervento internazionale immediato e coordinato per fornire aiuti umanitari, supportare la popolazione e lavorare a una soluzione politica che garantisca una prospettiva di pace e stabilità.

Un’altra volta, dunque, l’umanità si trova di fronte a un bivio. Sceglierà la strada dell’indifferenza, voltando lo sguardo dall’altra parte, oppure troverà il coraggio di agire, dimostrando che la solidarietà non è un’utopia, ma un imperativo categorico?

 

Foto di Renato Ferrantini

L’autore:Andrea Umbrello è direttore editoriale & Founder di Ultimavoce