La presidenza Trump farà una grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa. Andare in ordine sparso sarebbe catastrofico per i Paesi della Ue

L’Europa attraversa un momento di particolare difficoltà. La stagnazione dell’economia è ormai un dato accertato che si accompagna alle tensioni accese dall’invasione russa in Ucraina e dall’esplodere del sovranismo. La Germania, locomotiva dell’Unione, si è fermata e la coalizione “semaforo” che la governa dal 2021 è giunta al capolinea. Altri fondamentali Stati europei, come la Francia, attraversano un periodo travagliato. Non ultima l’Italia alle prese con una legge di Bilancio particolarmente spinosa e dallo sviluppo assai confuso in una condizione economica quantomai severa.
In questo contesto si è tenuto, alla fine della scorsa settimana, a Budapest, un Consiglio europeo informale sulla competitività, argomento quanto mai caldo per un’Unione avvitata in una spirale recessiva.
Nella sua informalità, il Consiglio afferma nella dichiarazione finale che «accogliamo con favore i rapporti ‘Molto più di un mercato’ di Enrico Letta e ‘Il futuro della competitività europea’ di Mario Draghi che identificano sfide critiche e formulano raccomandazioni orientate al futuro. Forniscono una solida base su cui faremo progredire ambiziosamente il nostro lavoroı». Ancora, «cogliamo il loro campanello d’allarme. È fondamentale che colmiamo urgentemente il divario di innovazione e produttività, sia con i nostri concorrenti globali che all’interno dell’Ue. Lavoreremo in unità e solidarietà a beneficio di tutti i cittadini, le aziende e gli Stati membri dell’Ue». E questo perché «il business as usual non è più un’opzione. Oggi, sottolineiamo l’urgente necessità di un’azione decisa per affrontare queste sfide».
Prendiamo atto di questo impegno assunto, vale la pena di sottolinearlo nuovamente, in un consesso informale. Ma si deve avere la consapevolezza che se l’Unione non darà adesso un colpo di reni, il futuro che ci attende – e non su un lungo periodo – è più che allarmante.
I dati li ha messi in fila, con la consueta precisione, Mario Draghi, soffermandosi con i giornalisti all’ingresso del Consiglio al quale ha presentato il suo Rapporto. Fotografando un momento storico nel quale l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti segna un radicale cambio di scenario. «Le indicazioni di questo rapporto – ha spiegato il nostro ex presidente del Consiglio – sono già urgenti data la situazione economica in cui siamo oggi. E sono diventate ancora più urgenti dopo le elezioni negli Stati Uniti. Non c’è alcun dubbio che la presidenza Trump farà una grande differenza nelle relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa. Certamente, noi dovremo prenderne atto».
In che modo? «Dalla prospettiva del Rapporto, quindi del rilancio della competitività in Europa, un paio di cose che vengono in mente sono che questa amministrazione sicuramente darà un ulteriore grande impulso al settore tecnologico, al cosiddetto High Tech, dove noi siamo già molto indietro. E questo è il settore trainante della produttività. Già ora la differenza nella produttività tra gli Stati Uniti e l’Europa è molto ampia. Quindi noi dovremo agire. E gran parte delle indicazioni del Rapporto sono su questo tema».
Ma c’è dell’altro perché «sicuramente Trump tanto darà impulso nei settori innovativi, tanto proteggerà le industrie tradizionali. Che sono proprio le industrie – le produzioni delle quali – noi esportiamo di più negli Stati Uniti. E quindi, lì dovremo negoziare con l’alleato americano, con uno spirito unitario, in maniera tale da proteggere anche i nostri produttori europei».
Dunque, uno stretto intreccio tra politica economica, industriale ed estera che richiederebbe all’Unione uno straordinario impulso di lucidità e sagacità politica.
E a proposito di questo, si pone, più che mai, il tema del funzionamento del governo dell’Unione. Perché, spiega ancora Draghi «ci sono grandi cambiamenti in vista e credo che quello che l’Europa non può più fare è posporre le decisioni. Come avete visto, in tutti questi anni si sono posposte tante decisioni importanti perché aspettavamo il consenso. Il consenso non è venuto. È arrivato solo uno sviluppo più basso, una crescita minore e, oggi, una stagnazione. Quindi, a questo punto, io mi auguro che ritroveremo uno spirito unitario con cui riuscire a trarre il meglio da questi grandi cambiamenti». Per «andare in ordine sparso, siamo troppo piccoli. Non si va da nessuna parte».
Rebus sic stantibus, le leadership politiche che guadagnano consensi solo assecondando le sia pur legittime paure dell’elettorato e indicando il nazionalismo come soluzione appaiono terribilmente inadeguate. Ci vorrà molto coraggio per proiettarci fuori dalle criticità odierne.

L’autore: Cesare Damiano, già sindacalista e parlamentare in tre legislature, è stato ministro del Lavoro ed è presidente dell’associazione Lavoro & Welfare