La deportazione di Trump finirà con l’innestare un movimento circolatorio di espulsioni e reimmigrazioni. Una sorta di moto perpetuo che già si manifesta tra Italia e Albania

Lo scorso 5 novembre il mondo ha fatto un’altra piroetta con la rielezione di Donald Trump a presidente degli Usa, ottenuta puntando su due problemi: l’inflazione e l’immigrazione.
Se l’inflazione in Europa è stata meglio contrastata che in America, l’immigrazione è un problema comune, seppure di dimensioni diverse sulle due sponde dell’Atlantico: negli Usa gli immigrati sono milioni ogni anno; in Europa alcune decine di migliaia. Ma le soluzioni proposte dalle destre sono le stesse di là e di qua: se prima erano i muri e i blocchi navali, oggi sono la deportazione.

“Faremo una deportazione mai vista nella storia!”, ha promesso Trump agli Usa. “Li porterò tutti in Albania per rispedirli a casa loro!” ha giurato in Italia Giorgia Meloni.
Sennonché, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, quello Adriatico in Italia e, negli Usa, quello dei costi proibitivi. Sarà quindi una conferma che le soluzioni populiste convincono le anime semplici ma non risolvono un problema di portata antropologica.

Per dire: la nostra bisnonna Lucy, vissuta in Etiopia oltre tre milioni di anni fa, ebbe dei discendenti che, circa 1,7 milioni di anni fa arrivarono in Georgia e da lì si spostarono ancora migrando sia in Asia che in Europa. E qui, circa un milione di anni fa, troviamo a Ceprano, vicino Roma, un pro-pro-pro nipote di Lucy con un cervello di ormai più di mille cm cubici.

La deportazione di Trump finirà con l’innestare un movimento circolatorio di espulsioni e reimmigrazioni. Una sorta di moto perpetuo che già si manifesta tra Italia e Albania.
In Albania sono stati creati dei centri dove dovrebbero essere trasportati i naufraghi raccolti nel Mediterraneo dalla nostra Marina militare sul presupposto di poterli rimpatriare in quanto provenienti da “Paesi sicuri”. Si è dimenticato che la definizione di “Paesi sicuri” è già stata oggetto di pronunce in sede comunitaria e che le decisioni comunitarie si impongono sulla giurisdizione italiana perché il nostro giudice “deve” disapplicare la norma nazionale se non è allineata alla fonte sovraordinata europea.

La primazia europea su tutte le disposizioni nazionali dei Paesi Ue affonda le sue radici nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare la sentenza Costa del 1964 e quella Simmenthal del 1978. Alla giurisprudenza, si affianca l’art. 19 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue) che stabilisce il ruolo della Corte di giustizia nel garantire il rispetto del diritto dell’Unione. E più avanti anche l’art. 288 del Tfue ribadisce che i regolamenti, le direttive e le decisioni adottati a livello europeo sono vincolanti per gli Stati membri.

L’approssimazione con la quale l’operazione albanese è stata organizzata dalla destra italiana, trascurando aspetti ben noti agli studenti del secondo anno di legge, avrebbe dovuto indurre a desistere già dopo il primo viaggio andato male e, invece, si è insistito adottando un provvedimento normativo che pretende di dichiarare sicuri Paesi stranieri in base alla diffusione del sostegno popolare al governo, trascurando la definizione europeistica che si fonda sulla tutela di tutte le minoranze e la sicurezza in tutte le zone territoriali.

Tacciando la magistratura di fare politica con l’opposizione, la destra domestica mette in discussione quel fondamentale presupposto della democrazia liberale che è la separazione dei poteri – legislativo, esecutivo e giudiziario – esaltata dal Montesquieu nella sua opera Lo spirito delle leggi del 1748.
La riprova di cosa possa accadere superando i principi fissati dal Montesquieu, l’abbiamo in Ungheria dove la magistratura è stata assoggettata al potere politico con un effetto illiberale che è continuamente oggetto di critica nelle istituzioni europee.Ma è curioso che anche negli Usa, tanto osannati per la loro democrazia liberale, la magistratura sia assoggettata al potere esecutivo, sicché abbiamo potuto assistere alle esuberanze di Elon Musk che, informato degli eventi italo-albanesi, dal suo social “X” ha tuonato: “Quei giudici se ne devono andare”. Si è così innescato un corto circuito istituzionale di livello internazionale che di Elon Musk ha messo in luce le deficienze diplomatiche, l’insensibilità ai fondamenti storici dello Stato di diritto e una pericolosa tendenza all’esercizio del potere. In tal modo egli ha perfettamente integrato il modello definito da Montesquieu quasi trecento anni fa quando scriveva: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti […]” e lo stesso Autore così ammoniva sul rimedio contro quelle tendenze: “Perché non si possa abusare del potere, occorre che […] il potere arresti il potere”.
Alla fin fine, tuttavia, queste diatribe non superano il problema dell’immigrazione che esiste e non può essere ignorato sol perché le Destre di qua e di là dell’Atlantico non sono in grado di risolverlo.
La migrazione è un fenomeno che deve essere analizzato nelle sue attuali declinazioni per poter essere arginato osservando che, da una parte, occorre agire sui luoghi di provenienza dei migranti e, dall’altro, sull’accoglienza che non deve lasciare nessuno a bighellonare in gruppi a volte assai numerosi intorno alle stazioni delle nostre città intimidendo la popolazione, quando non aggredendola per bisogno, non escluso quello sessuale.

L’errore diagnostico delle destre è quello di voler affrontare il fenomeno migratorio dagli effetti che produce nelle loro rispettive patrie e non dalle cause. Un po’ come voler arginare un getto d’acqua senza chiudere il rubinetto e la questione è particolarmente complessa perché il rubinetto non è nel tuo lavabo, ma in quello dei Paesi poveri vicini a quelli ricchi, vuoi economicamente vuoi, quanto meno, di maggiore tranquillità.
Non occupandoci qui dell’accoglienza, che è un problema interno ad ogni nazione e di soluzione più facile, magari imparando da chi la fa meglio, è fondamentale l’azione nei luoghi da cui le migrazioni hanno origine e, in questo senso, i propositi del Piano Mattei adottato dall’Italia nel 2021, presentano prospettive interessanti e utili anche per gli USA.
In breve, il Piano Mattei è una strategia ambiziosa che mira a rilanciare i legami tra l’Italia e l’Africa, focalizzandosi su cooperazione economica, sostenibilità energetica e sviluppo delle infrastrutture in linea con le sfide globali del XXI secolo. In teoria va tutto bene, ma benché si rivolga a qualche Paese africano coinvolto nelle migrazioni come la Libia, l’Egitto e la Nigeria, il Piano prevede anche interventi in Paesi meno esposti come l’Etiopia, il Ghana, l’Angola, il Kenya, il Mozambico e il Sudafrica sicché esso appare più votato agli aspetti economici e geopolitici che alla soluzione del problema migratorio determinando una forte dispersione di energie. Era meglio destinare quanto speso per i centri in Albania, per esempio, nel Senegal, nel Marocco o nella Somalia.

Forse la più efficace soluzione la sta organizzando Musk per permettere a Trump di mantenere la promessa elettorale quando dice di voler accelerare la corsa su Marte. Se gli riesce, farà colonizzare il pianeta rosso dagli immigrati ispanici un po’ come l’Inghilterra, nel 1786, fece colonizzare l’Australia dai sui condannati istituendo la colonia penale di Botany Bay.
Viene così in mente quella strip del Mago di Oz di tanti anni fa, quando il fido scudiero riferiva al Re, dapprima, che i coccodrilli del fossato del castello avevano fame e, poi, che con la siccità incombente il popolo aveva sete. E il Re: “Comincio a vedere una soluzione”.

 

L’autrice: Shukri Said è presidente della associazione Migrare, su Radio Radicale conduce la trasmissione Africa Oggi

La foto è la copertina di Der Spiegel, qui per leggere il numero