A Baku, la Cop29 non smette di ricordarci che il cambiamento climatico è il convitato di pietra della politica globale. Le promesse scivolano sui tavoli come un rituale stanco: l’Unione Europea confessa il ritardo nei contributi nazionali (gli Ndc), le nazioni più inquinanti continuano a litigare sul “chi paga” e i Paesi vulnerabili attendono un fondo promesso da anni, mai veramente realizzato.
I leader mondiali parlano di “svolta” ma guardano altrove. Il Commissario europeo Wopke Hoekstra ammette che l’obiettivo di aggiornare gli impegni climatici entro il 2025 potrebbe essere disatteso. Intanto, le emissioni globali toccano nuovi record, e ogni parola pronunciata nelle aule di Baku sembra galleggiare in un vuoto di credibilità.
Il finanziamento climatico – il cuore del problema – è ancora una favola a cui nessuno sembra credere davvero. La roadmap proposta per garantire i 100 miliardi di dollari annuali resta un elenco di buone intenzioni, mentre chi avrebbe bisogno di risposte concrete continua a soccombere a eventi estremi e devastazioni.
La questione climatica, relegata ai margini delle priorità globali, viene affrontata con lo stesso entusiasmo di un’incombenza amministrativa. E mentre i negoziati arrancano, il tempo si accorcia. Se il clima è il termometro del nostro futuro, allora il mondo, con il suo immobilismo, sembra scegliere di ignorare la febbre. E la stampa continua a relegare la questione nelle pagine dei lettori affezionati, come se fosse un hobby quello di preoccuparsi della fine del mondo.
Buon mercoledì.
Nella foto: l’ecoattivista Greta Thunberg protesta davanti all’ufficio delle Nazioni Unite a Yerevan, Armenia, contro la Cop29 in corso a Baku, 16 novembre 2024