Tony Carnevale è un musicista, ricercatore e formatore che ha scritto e prodotto musiche originali per la discografia, la televisione, il cinema, il teatro e la danza. Autore di nove lavori discografici personali ha collaborato con esponenti storici del Progressive italiano – come Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese del Banco del Mutuo soccorso. Dal 1986 svolge una ricerca che lo ha portato a scrivere diversi saggi nei quali affronta la musica come linguaggio espressivo-rappresentativo, fino ad elaborare il metodo “Anora”, (acronimo di “approccio non razionale al movimento creativo”) con il quale conduce dal 2000 dei particolari laboratori creativi di formazione musicale. Stefania Graziani, diplomata in pianoforte e musica da camera, si è successivamente formata dal punto di vista compositivo nei medesimi laboratori musicali Anora all’interno dei quali ha realizzato nel 2021 il suo primo album come compositrice, La musica cambia. La loro collaborazione nasce quindi da un lungo sodalizio artistico cresciuto e maturato all’interno dell’associazione.
”Hands” (Soundtrack Records) è il loro nuovissimo album realizzato ”a quattro mani” in uscita il 6 dicembre. Non è semplicemente un disco per due pianoforti o per pianoforte e tastiere, ma si caratterizza immediatamente per una complessità di approccio, nel quale certe atmosfere cameristiche evolvono in un dialogo tra tastiere ed orchestra, fino a raggiungere in alcuni brani un ampio espiro sinfonico.
Come nasce l’idea di questo disco?
Tony Carnevale: Parte tutto dall’evoluzione del lavoro nei laboratori musicali che si svolgono all’interno della nostra associazione, e dopo oltre vent’anni di attività abbiamo deciso di iniziare questa nuova sperimentazione in una situazione relazionale diversa, facendo un salto di qualità, passando da un rapporto di formazione specifica ad una relazione di collaborazione artistica, cominciando a lavorare insieme su questo lavoro che è l’opera prima all’interno del nostro “Anora Project”.
Stefania Graziani: Parto dalla mia esperienza personale, e da questo lungo percorso artistico realizzato insieme a Tony all’interno dei laboratori, che mi ha portato ad evolvermi dal ruolo specifico di pianista ed esecutrice a quello più ampio di compositrice ed interprete, approdando tre anni fa alla realizzazione del mio album La musica cambia. Si tratta di una tappa fondamentale che mi ha dato la possibilità di cominciare ad esprimermi attraverso la musica in maniera creativa, superando tutti quei blocchi e quegli steccati nei quali mi sentivo imprigionata, a partire dalla rigida impostazione da pianista classica dalla quale provengo. C’è stata quindi un’evoluzione che mi ha permesso di sviluppare nuove capacità e nuove possibilità con il passaggio dal ruolo di allieva a quello di collaboratrice, in un rapporto con Tony tra “Uniti e distinti” come recita il titolo di uno dei brani del disco.
Come si è sviluppato il processo compositivo “a quattro mani”?
Stefania: Vorrei partire proprio dai due brani che aprono e chiudono il disco. Il titolo stesso del brano iniziale “Nelle tue mani” vuole esprimere un profondo sentimento di fiducia che ciascuno pone nelle mani nell’altro. Tutto parte da qui: mettersi nelle mani dell’altro, affidarsi e fidarsi, il senso di un rapporto interumano che non rischia di deludere. “Passo a due” è invece l’emozionante epilogo, scritto appositamente da Tony, rappresenta la storia del rapporto di amicizia e collaborazione artistica che c’è stata tra noi due.
Tony: Questo è il primo brano che ho scritto per due pianoforti; è un omaggio a Stefania che in qualche modo ha la pretesa di riassumere poeticamente la genesi di questo lavoro. Dal punto di vista musicale dopo una prima fase caratterizzata dalle note gravi della tastiera nelle quali è l’elemento maschile a stimolare il processo creativo, in una seconda fase è l’elemento femminile a prendere l’iniziativa, lui la segue sostenendola, per poi allontanarsi progressivamente fino quasi a scomparire, finché un breve intervento dell’orchestra sinfonica va a chiudere in brano.
Dal punto di vista della realizzazione del disco c’è stata invece una divisione dei compiti?
No, anche nell’esecuzione dei brani e nel lavoro in studio abbiamo sempre operato “a quattro mani” – ribadiscono i due artisti – sia nella parte pianistica che in quella orchestrale che è stata realizzata interamente in studio tramite campionamenti elettronici. Ci tengo però a precisare – sottolinea Tony – che tutto il lavoro è stato fatto suonando gli strumenti campionati uno ad uno sulla tastiera, quasi a voler sottolineare l’approccio “artigianale” alla musica, che vuole e deve rimanere appunto un lavoro “fatto a mano”, il più realistico possibile, laddove il suono di ogni singolo strumento rimane perfettamente riconoscibile. In questo senso – prosegue Stefania – Hands porta con sé altre chiavi di lettura: mani, come le mani che usiamo per “fare” e per suonare, mani che seguono il movimento del pensiero per realizzare concretamente forme artistiche, mani che esprimono quindi una fusione tra mente e corpo. Ma il titolo vuole essere anche un riconoscimento e un omaggio alle mani delle persone che con il loro lavoro mandano avanti la nostra associazione e anche a quelle del pubblico che ci sostiene.
Il disco ha un approccio in alcuni momenti quasi “cameristico”, mentre in altri si apre ad una forma compositiva orchestrale più ampia.
Tony: Io come compositore tendo a ripartire dalle mie radici musicali che si ricollegano ad un certo polistrumentismo, tipico ad esempio della musica “progressiva” degli anni Settanta, che in qualche modo abbiamo rievocato anche nel brano “Incontri possibili”, nel quale il suono di un clavicembalo “ben temperato” si incontra con un flauto dal ruvido soffio “sporcato”, quasi un nuovo incontro tra Bach e Jan Anderson, mezzo secolo dopo il celebre “Bourée” dei Jethro Thull. Tutto questo per sottolineare il tentativo che porto avanti da sempre di voler superare gli steccati tra i vari generi musicali proponendo musica di libera espressione artistica, svincolata dai condizionamenti del mercato, ma allo stesso tempo fruibile e comunicativa, anche se difficilmente riconducibile a un genere preciso.
Alcune composizioni – come “Viaggio senza dove” – sembrano rimandare, anche nei titoli, ad atmosfere vicine a quelle di una colonna sonora?
Tony: Che si lavori sulle idee – immagini e sul suono – non è solo una mia ricerca poetica personale, ma in realtà tutto il lavoro svolto nei laboratori è sempre stato focalizzato all’idea di creare un racconto per immagini. Anche il sottotitolo del mio precedente disco Tu che mi puoi capire recita “Immagini per pianoforte e orchestra”; c’è sempre un filo narrativo che punta ad evocare immagini e a stimolare a sua volta la creatività e la fantasia dell’ascoltatore. Un procedimento che è del tutto diverso da quello che ho normalmente utilizzato nella composizione di una colonna sonora – come nel caso del recente docufilm Vakhim di Francesca Pirani – laddove le immagini esistono già a priori. Quindi il nostro atteggiamento artistico è precipuamente finalizzato a suscitare immagini, e a mantenere uno sviluppo narrativo basato sulla dinamica espressiva e sul flusso emozionale.
Stefania: Se non fossi partita da questi presupposti non sarei mai arrivata ad evolvermi come compositrice, superando l’atteggiamento e l’approccio “tecnico” che la mia rigida formazione classica mi aveva imposto. Nel tempo ho realizzato che per comporre il punto di partenza era un’emozione, un’immagine, un suono da sviluppare, non da un punto di vista tecnico, ma espressivo, creando immagini emotive che risuonino dentro.
Alcuni temi sono sviluppati a partire da una cellula tematica ripetitiva o ricorrente, altri si appoggiano su sequenza di accordi con una melodia cantabile. Ce ne parlate?
Tony: Nell’ambito del nostro laboratorio lavoriamo tantissimo sulla cantabilità che non necessariamente ha a che fare con il canto vero e proprio, quanto piuttosto sull’uso della voce nel comporre per altri strumenti. In questo senso una maggiore semplicità armonica, sicuramente diversa rispetto a quella dei miei lavori solisti, si ritrova in tutto lo stile generale del disco, che nasce da un incontro di sensibilità e di stili diversi.
Stefania: Il minimalismo è invece una componente che mi è particolarmente congeniale e che spontaneamente ho iniziato ad utilizzare come elemento di partenza per lo sviluppo delle mie composizioni al pianoforte sin dal mio precedente disco. In un certo senso il minimalismo, partendo da una cellula tematica ripetitiva, è il motore della composizione che si sviluppa a partire dalla tastiera per evolversi ed andare oltre il pianoforte stesso, sviluppare quei temi che possano creare un flusso emotivo, cercare la cantabilità anche nel suono di un altro strumento.
Avete mai pensato di inserire una voce e dei testi nelle vostre composizioni?
Ci abbiamo pensato e ne abbiamo anche discusso a lungo – conclude Stefania – anche in questo progetto che è nato in forma totalmente musicale; in realtà non lo escludiamo a priori, anche nel mio disco precedente avevo inserito un testo cantato. Indubbiamente la voce umana rappresenta l’elemento emotivo per eccellenza.
La presentazione del disco è prevista per venerdì 13 dicembre al Roma presso il Teatro “Il Cantiere”, con un evento di ascolto condiviso.
L’autore: Roberto Biasco è critico musicale