«Hanno ammazzato 32 persone. Mi pare il minimo. Qualsiasi cosa succederà ora, come familiari la affronteremo insieme». Daniela Rombi, presidente del Mondo che Vorrei, associazione dei familiari delle vittime dell’incidente ferroviario di Viareggio, non ci gira tanto intorno concedendosi ai microfoni pochi secondi dopo che il presidente della corte di appello del tribunale di Firenze, Alessandro Nencini, ha letto la sentenza del processo di appello ter.
Un appello nel quale ci poteva essere l’ipotesi di un possibile ricalcolo delle pene e una diminuzione massima entro un terzo del totale – da calcolare considerando che un nono era già stato tolto – ma così non è stato. Pene tutte confermate, compresa quella di 5 anni all’ex amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, presente in aula e che, scuro in volto, non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Al contrario della sua avvocata, Ambra Giovane, che ha precisato «Siamo delusi, probabilmente ricorreremo in cassazione. È una sentenza che merita che si faccia ricorso. Potevamo chiuderla qui ma non è dipeso da noi».
Un processo lunghissimo e che sembra non finire mai. E nel quale non sono mancati i colpi di scena e che dopo appena 21 minuti dal suo inizio, quel 13 novembre 2013, partì con una triste sorpresa: lo stato non si costituiva parte civile. “Siamo vicini a raggiungere un accordo con le Ferrovie e la Gatx per ottenere un sostanzioso risarcimento. Per questo abbiamo chiesto di non essere ammessi al processo” spiegò l’avvocato dello stato Gianni Cortigiani. E soprattutto un processo nel quale si è per così dire scoperchiato il vaso di Pandora dei problemi della sicurezza ferroviaria europea.
In principio fu il picchetto
L’incidente ferroviario di Viareggio avvenne il 29 giugno del 2009 dopo ben 4 incidenti a treni merci avvenuti pochi giorni prima, tra il 19 e 22, tra Sesto Calende, Cuneo, Pisa e Vaiano. La sera del 29, a pochi minuti da mezzanotte, un treno merci trasportante Gas di petrolio liquefatto (Gpl) deragliò e, a causa dello squarcio di una delle 14 cisterne che lo componeva e la conseguente fuoriuscita di Gpl che venne innescato da una scintilla, causò la morte di 32 persone di cui 13 la notte stessa.
I mesi successivi al disastro videro una aspra battaglia per decidere il colpevole dello squarcio oltre all’assile che si era rotto per usura: da una parte tecnici che dicevano che il vagone aveva impattato nel picchetto segnaletico, dall’altra che aveva impattato nella cosiddetta zampa di lepre, una parte dello scambio. Nella seconda ipotesi, essendo lo scambio parte integrante della linea ferroviaria, le possibili responsabilità del gruppo Ferrovie dello Stato – che avrebbe dovuto assicurarsi che i vagoni e il treno fossero in possesso di tutti i requisiti per poter circolare sulla propria rete ferroviaria – sarebbero state minori. Ma i rilievi indicarono come colpevole il picchetto e questo mise sul banco degli imputati gli amministratori della compagnia.
Sicurezza sotto accusa
L’incidente mise a nudo i problemi della sicurezza ferroviaria in tutta Europa. Il disastro del 29 giugno infatti si potrebbe definire europeo: il locomotore era di proprietà dell’italiana Trenitalia, il primo carro era immatricolato dalla polacca Pkp e sottoposto all’ultima revisione da Cima Riparazioni mentre gli altri 13 erano immatricolati in Germania dalla Deutsche Bahn. Sui carri erano montate altrettante cisterne della multinazionale statunitense Gatx, che tramite la controllata austriaca Kvg le aveva date in locazione alla italiana Fs Logistica. L’assile che rompendosi ha causato il deragliamento era stato controllato dall’officina tedesca Jungenthal.
Durante le indagini, emersero notevoli problematiche sui controlli visto che l’assile stesso che poi si ruppe per usura, aveva sopra più mani di vernice – 4 per l’esattezza – che ponevano seri dubbi sulla fattura della revisione e delle revisioni in generale.
Una cosa riportata anche dal rapporto svizzero sulla sicurezza dei trasporti del 2020 dove si spiegava che le misure di sicurezza per il trasporto di sostanze pericolose in Svizzera prese nel 2016 – con l’introduzione, oltre al limite di 40 chilometri orari per i treni che portano cloro, dei carri speciali pensati per resistere a urti gravi e deragliamenti, unica nazione europea che li ha adottati e che tra l’altro non fa parte dell’Ue – erano state prese a seguito delle “analisi dell’incidente di Viareggio che aveva evidenziato la possibilità che i problemi di manutenzione degli assi dei carri merci alla base dell’incidente insorgano anche in altri paesi, consentendo di intervenire ed eliminare le lacune” come specificato da Rudolf Sperlich, vicedirettore dell’ufficio federale dei trasporti svizzeri (Uft).
In sostanza, c’erano problemi sulla tracciabilità del materiale rotabile europeo, non c’erano regole precise per svolgere i controlli e i detentori dei carri potevano “definire autonomamente le regole di manutenzione” come sottolineò Angelo Laurino, ispettore Polfer che ha partecipato all’inchiesta.
A questo fece seguito nel giugno 2019 nell’Ue l’applicazione di una procedura uniforme per omologare il materiale rotabile e il rilascio di certificati di sicurezza unici. Dati alla mano, gli incidenti dal 2009 sembrano essere diminuiti: nel rapporto dell’Era del 2010 si parlava di 2230 incidenti gravi, tra passeggeri e merci, causa di 1245 morti e 1226 feriti, mentre in quello del 2022, 1331 incidenti, causa di 687 morti e 469 feriti. Anche se va detto che in quest’ultimo si legge la premessa “La sotto segnalazione non è infrequente nel caso di incidenti”.
“Un disastro non imprevedibile”
Una volta iniziato il processo, le udienze andarono avanti al ritmo di almeno un paio a settimana. Con “il disastro non fu un fatto imprevedibile” nelle motivazioni del tribunale di Lucca, nel 2017 arrivarono le prime forti condanne nella sentenza di primo grado, in linea di massima confermate poi nel 2019 anche dalla Corte di Appello di Firenze. Un fatto storico: per la prima volta in Italia venivano condannati tutti i vertici delle aziende coinvolte tra cui Mauro Moretti, amministratore delegato di Fs che fino ad allora era stato prosciolto da una cinquantina di processi in cui era stato chiamato in causa. Nel 2021, la prima sentenza in Cassazione vide cadere le accuse di omicidio colposo per tutti gli imputati condannati. Un fatto che ribaltò la sentenza della Corte di Appello eliminando inoltre l’aggravante del mancato rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro e rinviando tutto a un nuovo processo di appello, chiamato per l’appunto bis.
«La motivazione – chiarisce Gabriele Dalle Luche, avvocato dell’associazione Il Mondo che Vorrei composta dai familiari delle vittime – spiega che l’incidente sul lavoro, il rischio lavorativo, ci sarebbe soltanto in presenza di una norma specifica antinfortunistica che dovrebbe essere violata. Quindi, per fare un esempio, se sto lavorando a un macchinario questo parte e uccide un passante, la sua morte non è più considerabile un incidente sul lavoro: devi essere nella posizione analoga a quella del lavoratore e deve essere violata una norma antinfortunistica specifica. Può farne un processo che fa scuola».
Se la prescrizione aveva di fatto cancellato nel frattempo anche i reati di incendio e lesioni colpose, durante il processo di appello-bis di Firenze invece fu detto che se il treno merci trasportante gpl deragliato a Viareggio fosse andato a una velocità di 60 all’ora, «non sarebbe successo nulla». Oggi, a parte nel tratto dov’è avvenuto l’incidente a Viareggio nel quale rallentano, in tutta Italia la velocità dei merci che portano sostanze pericolose non è ridotta quando passano nei centri abitati. Già nel processo precedente invece si era parlato dei cosiddetti carri scudo, opzione che probabilmente avrebbe potuto evitare il peggio.
«Nel ’90 – sottolinea Maria Nanni, ex capotreno – data la pericolosità dei treni trasportanti gpl fu stabilito che ci fossero i carri scudo: il primo vagone dopo il locomotore e l’ultimo vuoti o con materiale inerte. Poi la normativa in Italia venne abrogata e non è mai venuto fuori né da chi né quando. Quando siamo andati al parlamento europeo a Bruxelles ci hanno fatto capire che sarebbe stato un enorme svantaggio economico mettere i carri scudo su tutti i merci europei trasportanti sostanze pericolose».
Un’altra lacuna emersa nei dibattimenti era la mancanza del sistema antideragliamento, obbligatorio in Svizzera da fine 2018 sui treni che portano sostanze pericolose ma non in Europa. In pratica un congegno, dal costo inferiore ai mille euro, che permette a ogni singolo vagone di bloccarsi in caso di movimenti anomali e che probabilmente avrebbe potuto evitare o almeno mitigare l’incidente di Viareggio. «Abbiamo ufficialmente proposto all’Agenzia Ferroviaria Europea (Era) di renderlo obbligatorio sui merci che transitano in Europa – spiegano dall’associazione dei familiari – ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto risposta».
Cosa può accadere ora e a quanto ammontano le pene
Oltre praticamente alla prima condanna di tutti i vertici delle aziende coinvolte, il processo per l’incidente ferroviario di Viareggio ha lasciato una grossa impronta nel futuro della giustizia italiana.«Dal punto di vista tecnico – spiega Tiziano Nicoletti, avvocato dei familiari – il processo per la strage di Viareggio, è di altissima importanza sia per le materie giuridiche, sono stati affrontati temi difficilissimi come la causalità della colpa e la responsabilità degli amministratori della holding rispetto a fatti commessi dalle società controllate, sia per l’ingegneria forense. Emblematica la ricostruzione della dinamica dell’evento in 3D, prodotto dai consulenti delle parti civili, con il riscontro delle evidenze rilevate dalla polizia scientifica. Ha dimostrato l’importanza della Legge Viareggio che ha fatto sì che i familiari potessero sostenere questo processo e fatto risaltare che per mitigare gli effetti della prescrizione, quindi il trascorrere del tempo, ci vorrebbe l’istituzione di una procura specializzata in disastri sia industriali che ambientali».
Il tribunale ha confermato quindi la condanna a 5 anni a Mauro Moretti, quattro anni, 2 mesi e 20 giorni per Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana, 4 anni per Mario Castaldo, ex direttore divisione di Cargo Chemical, 2 anni 10 mesi e 20 giorni per Mario Paolo Pizzadini, manager di Cima Riparazioni e 2 anni, 10 mesi e 20 giorni per Daniele Gobbi Frattini, responsabile tecnico Cima riparazioni.
I condannati austriaci e tedeschi, con quest’ultimi per i quali le differenze di ordinamento giuridico danno problematiche nell’applicazione delle condanne, sono: Johannes Mansbart, manager Gatx Rail Austria (5 anni e 4 mesi). Roman Meyer, responsabile flotta carri di Gatx Austria (5 anni, 6 mesi e 20 giorni), Rainer Kogelheide, ad di Gatx Rail Austria, (6 anni), Uwe Kriebel, operaio dell’officina di Junghental addetto ai controlli (4 anni, 5 mesi e 10 giorni), Helmut Broedel, funzionario dirigente dell’officina Junghental di Hannover (4 anni, 5 mesi e 10 giorni), Andreas Schroeter, tecnico di Junghental (4 anni e 8 mesi) e Peter Linowski, ad di Gatx Rail Germania (6 anni).
La domanda che resta è una: cosa può accadere ora? «Al massimo possono far ricorso per cercare nuovamente di diminuire la pena – precisa Nicoletti – ma dal punto di vista delle condanne, le responsabilità sono confermate e sappiamo chi ha ammazzato 32 persone».
Qui l’intervista audio all’avvocato Tiziano Nicoletti, legale dei familiari
l’autore: Francesco Bertolucci è giornalista
In foto (di Francesco Bertolucci) familiari delle vittime davanti al Tribunale di Firenze




