I rappresentanti di oltre trenta paesi si sono riuniti martedì 15 a Bogotá, in
Colombia, per discutere e annunciare misure concrete contro Israele, di fronte al genocidio
del popolo palestinese. La riunione di emergenza è stata convocata dal Gruppo dell’Aia,
un’iniziativa fondata nel gennaio 2025 dai paesi del Sud globale, ad esempio della
mobilitazione mondiale che avvenne contro l’apartheid in Sudafrica.
Di fronte all’omissione delle grandi potenze occidentali alle continue violazioni del
diritto internazionale da parte di Israele, il vertice, guidato dai presidenti Gustavo Petro
(Colombia) e Cyril Ramaphosa (Sudafrica), segna uno sforzo senza precedenti per
coordinare le risposte diplomatiche e giuridiche di fronte allo stallo dei negoziati per un
cessate il fuoco.
La partecipazione della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei
Territori palestinesi occupati, Francesca Albanese, è prevista per oggi. La sessione si
concluderà con una conferenza stampa congiunta, una cerimonia di chiusura e una
mobilitazione simbolica dal Ministero degli Affari Esteri alla Plaza de Bolívar, nel centro
della capitale.
Quanto accade a Bogotá potrebbe essere definito come il tentativo del Sud del
mondo di trasformare l’indignazione globale in azioni concrete, e di recuperare i brandelli
di credibilità del diritto internazionale e umanitario.
Al momento, la posizione dei Paesi sudamericani a guida progressista sul genocidio perpetrato da Israele al popolo palestinese varia dalla rottura diplomatica alla pubblica condanna, senza però ulteriori passi concreti, da effettive misure economiche dei governi, come la scelta colombiana di sospendere le esportazioni di carbone verso Israele, alle richieste di responsabilità legale di Benjamin Netanyahu per crimini di guerra, presso la Corte Penale Internazionale.
Entrando nei dettagli, il primo Paese sudamericano a tagliare ogni vincolo con Israele è stato la Bolivia, il 31 ottobre 2023. Nelle tre settimane successive all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre, Israele rispose militarmente con bombardamenti, che causarono 9.000 vittime, tra i civili palestinesi, perlopiù donne e bambini, e ciò ha portato il governo di Luis Arce (Movimento per il Socialismo) non solo a condannare verbalmente la «sproporzionata offensiva militare israeliana in corso nella Striscia di Gaza», ma anche a rompere i rapporti diplomatici ed economici con il governo di Benjamin Netanyahu. A seguito della decisione boliviana, anche Cile e Colombia ruppero i loro rapporti diplomatici con Israele.
Il governo cileno intrattiene relazioni diplomatiche con lo Stato di Palestina e ospita la più grande comunità palestinese al di fuori del mondo arabo, un dettaglio non da poco, dato che, storicamente, contribuisce all’impegno della diplomazia cilena a favore dell’autodeterminazione del popolo palestinese. Il presidente Gabriel Boric (Frente amplio) sostiene la proposta del governo spagnolo di implementare un embargo internazionale sulle armi a Israele e utilizza, senza mezzi termini, concetti come «genocidio» e «pulizia etnica» per definire la condotta del governo israeliano nei confronti della popolazione palestinese, rafforzando così il ruolo attivo del Cile nella difesa dei diritti umani e nella denuncia dei crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano guidato da Benjamin Netanyahu.
Per quanto riguarda l’Uruguay, sebbene il presidente Yamandú Orsi sia alla guida di una coalizione di centrosinistra (Frente ampio) e, più volte, si sia presentato come erede politico dell’ex presidente Pepe Mujica (1935-2025) (che non ha mai esitato a denunciare il genocidio del popolo palestinese), lo scorso maggio, il suo governo ha annunciato l’intenzione di approfondire gli accordi di cooperazione bilaterale in materia di sicurezza, difesa, intelligence e cibersecurity con lo Stato di Israele.
Tra gli aspetti salienti dell’accordo, spiccano: la formazione e la consulenza per le Forze di sicurezza uruguaiane, l’acquisto di attrezzature di sorveglianza e tecnologia militare e lo scambio di esperienze in materia di difesa informatica e controllo delle frontiere. Occorre sottolineare inoltre che le ambiguità e le reticenze del governo uruguaiano stanno provocando diverse proteste popolari.
Per l’Asociación de Madres y Familiares de Uruguayos Detenidos Desaparecidos, il governo dovrebbe pronunciarsi «con chiarezza e responsabilità», poiché «i crimini di guerra» commessi da Israele sono documentati e, insieme alle risoluzioni di organismi internazionali, come la Corte Internazionale di Giustizia, «impongono il dovere di agire per porre fine all’impunità».
I presidenti di estrema destra, l’argentino Javier Milei (Partido Libertario) e il paraguaiano Santiago Peña (Partido Colorado) offrono il sostegno assoluto a Israele. Per quanto concerne il Perù, il governo autoritario della presidente Dina Boluarte, di orientamento conservatore e fortemente impopolare, si impone con un silenzio velato, mascherato da diplomazia. La repressione poliziesca nei confronti degli oppositori e degli attivisti per i diritti umani, nel corso degli anni, ha provocato decine di vittime e centinaia di feriti, sin dall’elezione di Boluarte, nel 2021. Attualmente, essendo in vigore il denominato «stato di emergenza», i diritti costituzionali dei peruviani, quali l’inviolabilità del domicilio e la libertà di manifestazione e di riunione, sono sospesi. Inoltre, a sostegno della Polizia Nazionale del Perù, per reprimere le proteste, ci sono le Forze Armate. Ammutolito e duramente represso, il mondo dell’associazionismo peruviano si affida così alle reti sociali per solidarizzare con i palestinesi.
Al momento, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia e Venezuela hanno aderito alla denuncia contro Israele presentata dal Sudafrica alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), per cui Israele dovrà rispondere del crimine di genocidio contro il popolo palestinese.
Tuttavia, dall’ultimo Rapporto di Francesca Albanese (Special Rapporteur per l’ONU sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967) emerge che, sebbene la Colombia abbia rotto i rapporti diplomatici con Israele nel mese di maggio 2024, circa sei spedizioni di carbone provenienti dal Paese sudamericano sono pervenute a Israele tramite la statunitense Drummond Company Inc. e la svizzera Glencore plc, per rafforzare la rete elettrica che arriva agli insediamenti illegali israeliani.
Inoltre, una approfondita inchiesta della giornalista colombiana Mariana Guerrero, pubblicata il 6 luglio, dimostra che nonostante il governo Petro abbia vietato la vendita di carbone a Israele dopo i suoi attacchi a Gaza, nell’ultimo anno sono state esportate dalla
Colombia quasi un milione di tonnellate: le eccezioni al decreto hanno permesso al commercio di continuare, sotto le protesta dei lavoratori. “Al di là del fatto che la vendita di carbone garantisca posti di lavoro alla nostra azienda, la vita viene prima di tutto. Quando un Paese agisce in modo bellicoso contro uno Stato debole, come quello palestinese, stiamo sicuramente dando una mano in termini energetici”, afferma Igor Díaz, rappresentante del Sindacato dei lavoratori dell’industria carbonifera, Sintracarbón.
per quanto riguarda il Brasile, in netta contrapposizione con le affermazioni di Lula, e la sua ferma condanna al genocidio del popolo palestinese, la Petrobras, azienda petrolifera, che ha come azionista maggioritario lo Stato brasiliano per il 50,26%, assieme a BP e Chevron, figura tra le maggiori fornitrici di petrolio e carburante in uso sugli aerei che bombardano Gaza.
Le considerazioni e i dati inseriti nel Rapporto di Francesca Albanese all’ONU, reso pubblico l’1 luglio, trovano riscontro nella lettera aperta, inviata a Lula il 25 maggio scorso, dalla Federação Nacional dos Petroleiros (FNP) e Federação Unificada dos Petroleiros (FUP), le due maggiori Organizzazioni sindacali che rappresentano lavoratori petroliferi e marittimi, dove chiedono l’immediata sospensione delle esportazioni del petrolio nei confronti di Israele. Entrambi i sindacati sostenevano già che il Brasile, rifornendo la macchina da guerra israeliana, si rendeva complice di crimini contro l’umanità. Nella suddetta lettera, scritta in rappresentanza degli oltre 17mila affiliati ai sindacati, i lavoratori chiedono con urgenza «un embargo globale completo sull’energia e sulle armi, affinché si possa porre fine al genocidio, smantellare l’apartheid e l’occupazione illegale di Israele», aggiungendo che «imporre sanzioni non è solo un dovere morale, ma anche una responsabilità legale di tutti gli Stati».
Secondo quanto dichiarato da Celso Amorim, principale consigliere di Lula per quanto riguarda i rapporti internazionali, il Presidente, dichiarato «persona non gradita» in Israele per avere paragonato Netanyahu a Hitler, starebbe valutando nuove azioni di pressione contro Israele, soprattutto in relazione agli accordi di cooperazione militare, tuttora in vigore; tuttavia, egli esclude la rottura completa delle relazioni commerciali e diplomatiche con il governo di Benjamin Netanyahu, ad esempio di Bolivia e Colombia. Il principale Consigliere di Lula per le relazioni internazionali afferma: «A mio avviso, la posizione corretta, oggi, è quella di partecipare alla causa intentata contro il Sudafrica per genocidio, mantenere le relazioni con Israele il minimo indispensabile e, infine, adottare una linea estremamente severa nei confronti dell’accordo di libero scambio, magari arrivando addirittura a sospenderlo».
Tali reticenze, silenzi e tentennamenti, per parte dei Paesi sudamericani, sono in netto contrasto con quanto storicamente ci si aspetterebbe dall’America Latina, una regione che possiede i più grandi giacimenti di uranio e terre rare al mondo, senza che ci siano, in contrapartita, potenze nucleari, come stabilito dal Trattato di Tlatelolco (1967), guerre fratricide tra i confinanti, o difficoltà a riconoscere la prevalenza del diritto internazionale rispetto alle leggi interne.
L’autrice: L’avvocata per i diritti umani Claudiléia Lemes Dias è scrittrice e saggista. Tra i suoi libri Le catene del Brasile.(L’Asino d’oro ed.) e il nuovo Morfologia delle passioni (Giovane Holden ed.)




