Trentasei anni dopo l'allestimento de "La gatta cenerentola", la compagnia della Fortezza ricrea la narrazione, interrogando la politica sulla condizione carceraria

Sono passati molti anni da quando fu allestito il primo spettacolo all’interno del carcere di Volterra dove il regista Armando Punzo aveva iniziato a costruire il suo progetto di ricerca teatrale che l’avrebbe portato quarant’anni dopo a ricevere il leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Quel primo spettacolo, allora pensato con un gruppo ristretto di detenuti-attori napoletani era La gatta Cenerentola, ispirato alla celebre opera di Roberto De Simone. Oggi, a trentasei anni di distanza e dopo una costruzione di tre anni passata per lo studio Atlantis del 2024, una nuova “Cenerentola” si affaccia ancora nella drammaturgia del regista partenopeo. Ma da quel lontano 1989 le cose sono potentemente cambiate e cresciute in modo esponenziale. Oggi la Compagnia della Fortezza è ormai una realtà conosciuta in tutto il mondo e la sua storia è diventata un riferimento per tutti quelli che realizzano progetti teatrali nelle realtà carcerarie e non solo.

foto di Filippo Trojano

Un lavoro immenso dunque, condotto giorno dopo giorno con costanza ha portato alla creazione di decine di spettacoli come il Marat-Sade, I Negri, Orlando Furioso, Macbeth, Amleto, I Pescecani, Pinocchio, Hamlice, passando per Mercuzio non vuole morire, fino ai recenti Beatitudo e Naturae, per approdare all’ultima fatica di quest’anno: Cenerentola (andata in scena dal 25 al 28 luglio all’interno della Fortezza Medicea e il 1 agosto al teatro Persio Flacco di Volterra).
Un anno, questo 2025 che ha visto come molti altri nella storia della Compagnia della Fortezza delle novità che segnano aperture profonde sia nella storia del lavoro teatrale e drammaturgico, sia della vita e le dinamiche carcerarie. Perché nella ricerca di Armando Punzo questi due aspetti sono sempre fusi e in dialogo costante. Se per Mercuzio infatti, per la prima volta nella storia della compagnia venne fatta entrare dall’esterno una ragazza a lavorare con i detenuti interpretando Giulietta segnando un precedente dopo che per tanti anni anche i personaggi femminili erano interpretati sempre e solo da uomini, per Beatitudo insieme ai detenuti-attori comparve un bambino nel campetto da calcio del carcere (il campino) trasformato per la scena in una enorme piscina/palcoscenico.

foto di Filippo Trojano

Così oggi, ancora una volta la ricerca teatrale ha portato ad una novità potente. In mezzo ad uno spettacolo strutturato nella sua essenza sul bianco e il nero (le scene di Alessandro Marzetti e i costumi di Emanuela Dall’Aglio sono di una bellezza da togliere il fiato) compare come unico altro colore quello dei capelli rossi di Viola Ferro, una giovane attrice professionista che dà corpo e voce secondo il metodo di Grotowski alla base del lavoro della compagnia, a qualcosa di nuovo che sembra addentrarsi per la prima volta tra le mura della Fortezza e forse nella nostra immaginazione. Vedendola e ascoltandola sulla scena echeggiano certe creature shakespeariane, come Bella di Povere Creature e ancora Ada, l’affascinante pianista del capolavoro di Jane Champion. “Ci siamo incamminati nella più pura ricerca, dove il colore svincolato da ogni riferimento naturalistico si fa pura modulazione di luce”.

foto di Filippo Trojano

Infiniti come sempre i rimandi alla storia dell’arte, alla filosofia, la scienza; ci sono Dalì e Picasso, (anche la chitarra del fedele compositore Andreino Salvadori è stata scenografata e trasformata al punto da farci pensare esser stata presa dal famoso quadro cubista del 1912, Bec a gas et guitare). Si parla poi di creature mitologiche: tartarughe, uccelli, unicorni, elefanti, (anche il toro di Guernica ha fatto irruzione in questo nuovo spettacolo che sembra ripercorrere per salti la storia del mondo degli ultimi 300 anni o forse più). Si parla di numeri, di geometrie, di architetture interiori, e profondamente di una resistenza necessaria per tendere verso una costante utopia di una vita migliore possibile. E sono tanti i personaggi di questa grande giostra che ci invitano a farlo, personaggi che portano pensieri complessi con la loro voce, i loro dialetti e accenti. Il pittore, lo scienziato, lo scrittore, l’esploratore, il critico d’arte, l’astronomo, il matematico, il filosofo, il fisico, il poeta… E al termine di questo spettacolo di due ore circa (ma dopo il quale sembrano essere passati secoli) da cui si esce con la sensazione di non aver probabilmente capito nulla, restano infinite visioni e un rinnovato stupore davanti a tanta meraviglia anche agli occhi di chi (come chi scrive) conosce ormai da anni il lavoro di Punzo e dei suoi attori.

foto di Filippo Trojano

Restano dentro le musiche, gli sguardi potenti, la danza… resta una canoa arrivata da lontano su cui ha remato un ragazzo cinese con la schiena di un pesce e che ha portato fino a noi una ragazza dai capelli rossi con cui abbiamo viaggiato su un’acqua invisibile; restano i cappelli a cilindro, i guanti bianchi che hanno disegnato traiettorie infinite; e ancora un enorme destriero bianco, una scacchiera-mare e un cavallo che muove ad L come ultimo personaggio lasciato in scena dal regista che sembra invitarci ancora una volta, una volta fuori, a fare la nostra mossa, cosi come aveva già fatto molti anni prima il cavaliere de “Il settimo sigillo” sfidando la morte.

foto di Filippo Trojano

“Ci vogliono mille pensieri per portare a termine un quadro” dice il regista/Cenerentola, “Non è mai esistito un tempo senza movimento” dice Viola/Cenerentola; “Nell’osservare un insetto ci si dimentica il fiore sconosciuto su cui sta camminando… Avanzare in territori sconosciuti è per me come entrare nella mia vita” dice Paul/Esploratore. Ed è proprio Paul a segnare un’altra commovente e significativa novità nel lavoro e nella storia della Compagnia della Fortezza, perché oggi è finalmente un uomo libero e non più un detenuto-attore, dal momento che da febbraio ha finito di scontare la sua pena e continua a collaborare con il regista e la compagnia dopo aver ottenuto un’autorizzazione permanete che segna un precedente nella storia delle carceri italiane, per poter tornare ogni giorno a lavorare alla creazione di nuovi spettacoli e che oggi è anche il protagonista di un nuovo lavoro intitolato “Fame” che debutterà nella sua interezza a gennaio del prossimo anno.

l’autore: Filippo Trojano è fotografo, giornalista e saggista