Il climatologo Luca Mercalli lancia l’allarme: il governo aumenta la spesa militare e ignora la crisi climatica mentre eventi estremi e inerzia politica rendono il futuro sempre più a rischio

Luca Mercalli, climatologo di fama internazionale, presidente della Società metereologica italiana, è da decenni uno dei principali esperti a metterci in guardia sui pericoli del cambiamento climatico. Nel suo nuovo libro, Breve storia del clima in Italia (Einaudi), analizza l’evoluzione del clima nel nostro Paese e le sfide che siamo chiamati ad affrontare. In questa intervista (che anticipa i suoi interventi al Festivaletteratura di Mantova il 5 e il 6 settembre) il climatologo ci fornisce un quadro della situazione attuale, mettendo in evidenza le risposte politiche insufficienti alla crisi climatica e le difficoltà che l’Italia e l’Europa devono superare per una transizione ecologica che ormai non può più essere rinviata.

Nel suo libro descrive numerosi eventi meteorologici estremi dall’impero romano al medioevo, dal rinascimento sino all’epoca moderna. Che cosa ci insegnano queste cronache storiche sul legame tra clima e crisi sociale? Direi che tutto il libro è costellato di eventi estremi fin dalla più remota antichità, solo che quelli che conosciamo meglio sono quelli dall’epoca romana in poi, perché hanno lasciato delle tracce scritte. Però complessivamente possiamo dire che quasi tutti gli eventi estremi del passato riguardavano freddo e alluvioni, che avevano un effetto deleterio sui raccolti, per cui si riflettevano immediatamente sulla società con le carestie e con problemi economici o anche di stabilità della società. Poi era facile avere dei tumulti, delle rivoluzioni. Quindi fondamentalmente vediamo che anche piccole variazioni del clima, perché qui nel passato stiamo parlando di variazioni non superiori a un grado, hanno sempre generato enormi problemi nella società. Adesso stiamo andando verso un caldo mai visto prima e con variazioni che possono arrivare a cinque gradi in questo secolo. E da qui uno dice: ci stiamo recando verso un territorio sconosciuto, un clima assolutamente nuovo di cui dovremmo essere assolutamente allarmati, consapevoli che bisogna fare qualcosa per ridurne gli effetti.

Lei parla di «anomalia dantesca» per definire il periodo che va dal 1314 al 1327. In che modo la letteratura, come la Divina Commedia di Dante, può aiutarci a capire il clima di un’epoca? Ci sono delle tracce che, ovviamente, non bastano. La letteratura può metterci su una pista che poi va seguita e confermata sia con altri documenti che confermino quello che eventualmente ci ha detto un’opera letteraria o un altro documento storico. In genere, se troviamo più di un riferimento proveniente da documenti molto diversi, c’è una maggiore verifica che l’evento sia accaduto veramente e non sia il frutto di una fantasia di un solo autore. L’altro elemento è che questi riferimenti possono poi essere messi in relazione con i dati geochimici e bio-geo-chimici, cioè i dati che arrivano dai pollini fossili, dai ghiacciai, dagli anelli degli alberi, dalle stalattiti nelle grotte. Sono tutti metodi di ricostruzione climatica che possono confermare quello che i documenti ci hanno eventualmente illuminato solo in parte e viceversa. Ovviamente, le due informazioni si completano a vicenda.

E se tra le pagine affiora una costante, che è l’incapacità di prevedere il clima e i suoi effetti, oggi invece abbiamo modelli e dati, ma sembriamo ancora impreparati, nonostante tutto. Perché? Perché neghiamo. Mentre fino a cinquant’anni fa l’umanità si è trovata a subire i cambiamenti climatici naturali - ad esempio, eruzioni vulcaniche che causavano un raffreddamento temporaneo, oppure situazioni di cambiamento nell’attività del sole - senza la possibilità di conoscere i meccanismi di funzionamento del clima, non avendo satelliti o stazioni

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login