Le ultime norme in Italia e Ue segnano un’inquietante inversione di rotta nelle politiche ambientali, sacrificando tutela e giustizia climatica sull’altare della produttività e della sicurezza. L’ambiente non è più visto come valore

Poche settimane fa, la Corte internazionale di giustizia, organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, ha illustrato, in termini chiari, gli obblighi degli Stati in materia climatica e le conseguenze giuridiche derivanti dalla loro violazione. Il parere della Corte, adottato il 23 luglio scorso, a seguito di una richiesta dell’Assemblea generale dell’Onu, dovrebbe porre fine a una serie di interpretazioni, di stampo meramente politico e non giuridico, miranti a degradare le norme vincolanti dei trattati sul cambiamento climatico a mere raccomandazioni.

Il parere ha confermato che i Paesi aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Unfcc), cui hanno aderito 197 Parti, inclusi gli Stati Uniti) devono adottare misure per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi agli effetti climatici negativi, con i Paesi più industrializzati (elencati nell’Allegato I alla Convenzione) che hanno ulteriori obblighi nel guidare gli sforzi per ridurre le emissioni, in base al principio delle responsabilità comuni ma differenziate. Gli Stati devono cooperare per raggiungere gli obiettivi della Convenzione e, in aggiunta, ulteriori impegni derivano dal Protocollo di Kyoto (pochi) e, soprattutto, dall’Accordo di Parigi, relativi agli obiettivi di riduzione delle emissioni e della definizione e attuazione di misure di adattamento. Esistono anche norme consuetudinarie internazionali, applicabili indistintamente a tutti gli Stati, che impongono di prevenire danni ingenti all’ambiente e al sistema climatico e di cooperare in buona fede per risolvere tali questioni.

Un Paese che non rispetta questi obblighi commette un illecito internazionale e incorre nella responsabilità di porre fine alle azioni illecite, garantire che tali comportamenti non si ripetano e riparare i danni causati, attraverso il ripristino della situazione antecedente alla condotta illecita o il risarcimento dei danni, ferma restando la necessità di provare il nesso causale tra l’azione illecita e il danno. Anche su questo aspetto, che fino a qualche anno fa sembrava una probatio diabolica, molti tribunali nazionali si sono già espressi nel senso di dare per certa, alla luce degli studi scientifici, l’esistenza del nesso causale tra emissioni di gas e danni riconducibili alla crisi climatica.

La pronuncia della Corte rappresenta un passo in avanti dal punto di vista dell’accertamento delle norme e della loro obbligatorietà ma, al tempo stesso, si tratta comunque una goccia nel mare, sia per il fatto che si tratta di un parere, dunque di un atto che, benché autorevole, è per sua natura non vincolante, sia perché negli ultimi mesi, gli organi di stampa stanno riportando con sempre maggiore insistenza notizie relative a significative inversioni di rotta rispetto all’annuncio di politiche ambientali che, qualche anno fa, sembravano rappresentare delle priorità nelle agende politiche nazionali e internazionali. Tra queste, ha

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