L’Italia si è mossa forse male e sicuramente tardi

Da 290 giorni Alberto Trentini, 46 anni, cooperante veneziano, è in cella a El Rodeo, Caracas, senza accuse e senza visite. Fu fermato il 15 novembre mentre viaggiava verso Guasdualito; da allora due sole telefonate. Un ex compagno di cella svizzero racconta di 45 minuti d’aria tre volte la settimana; intanto due italo-argentini sono stati liberati il 10 agosto e una decina di americani sono rientrati in patria. La sua storia, con nomi e date, l’ha ricostruita Carlo Verdelli sul Corriere il 30 agosto 2025. 

Il punto è politico: dopo la rielezione di Nicolás Maduro a luglio oltre 60 stranieri sono merce di scambio; Trentini è l’unico italiano «puro». L’Italia si è mossa forse male e sicuramente tardi: ad aprile la telefonata di Giorgia Meloni alla madre; a fine luglio l’inviato speciale Luigi Maria Vignali con la sua missione a vuoto a Caracas. Antonio Tajani dice che «ci sono altri prigionieri» come se fosse un alibi possibile. Serve diplomazia ora, non proclami: con Erdogan, Al-Sisi e Putin i canali non sono mai mancati. La credibilità politica si misura con i risultati, mica con con la narrazione dell’impegno. 

Trentini lavorava per «Humanity & Inclusion», Nobel per la pace 1997; portava protesi e acqua nelle periferie. La sua avvocata è Alessandra Ballerini, la stessa che da nove anni chiede giustizia per Giulio Regeni. Al Lido la madre di Alberto ha chiesto: «Cosa penserà mio figlio del suo Paese?». Oggi la risposta è amara. Governo e opposizioni hanno lasciato scivolare il caso in fondo all’agenda. A Roma servirebbero astuzia e tenacia: missione preparata, mediatori terzi, un’offerta concreta. Finché Alberto non torna il risultato minimo non è raggiunto. 

Buon lunedì.

Immagine dalla pagina Facebook “Alberto Trentini libero”