Dopo trent’anni di silenzi e contraddizioni, il dibattito tra scienza e diritto torna al punto di partenza: che cosa significa essere sani, liberi, responsabili? La psichiatria non può ridursi a certificare la colpa, ma deve affermare la possibilità della guarigione

L'8 giugno 1996 fu una giornata bellissima. Eravamo in tanti al teatro Mercadante di Napoli al convegno per il 25esimo anno di Istinto di morte e conoscenza dello psichiatra Massimo Fagioli, e la locandina, oltre al titolo (Fantasia di sparizione formazione dell’immagine e idea della cura) mostrava un disegno con un profilo di uomo. Avevano parlato in tanti sul palco e, alla fine, c’era stata una relazione dal titolo: Normalità e follia. L’identità dello psichiatra dopo la quale fu data voce al pubblico per gli interventi. La relazione che come al solito era il frutto di una stretta collaborazione con Fagioli, iniziava con la constatazione che il dramma della psichiatria di allora, ma direi che le cose non sono molto cambiate neppure oggi a distanza di 30 anni, era quello di non avere una identità riconosciuta come quello del medico del corpo, perché diversamente da questo lo psichiatra non riesce (o non vuole) distinguere la sanità dalla follia.

Non riesce a sostenere, il medico della mente, il conflitto di dover decidere, anche perché questa decisione non può basarsi su esami diagnostici o di laboratorio, si basa solo sulla competenza, la formazione, l’intuito, l’esperienza etc o meglio come dice la relazione sull’identità dello psichiatra. L’articolo prosegue sostenendo che la diagnosi di malattia in psichiatria si accompagna ad un senso sottinteso di condanna a vita perché non si pensa alla cura della malattia mentale.

Se il medico non ha l’idea della cura e della possibilità di guarigione della malattia il conflitto lo paralizza. Massimo Fagioli, dalla platea, prese il microfono e con poche parole, chiare, dirette e veementi riaffermò quale fosse la vera identità dello psichiatra e la funzione della psichiatria: curare la malattia mentale. «...Perché nel momento che io pretendo che tutti siano simili, cioè sani, non voglio affatto che ci siano degli sciancati e considerare che gli sciancati siano normali e vanno accettati cristianamente come figli di dio. Ma nemmeno per idea! Gli sciancati si addrizzano le gambe!... e chiaramente... Aggiungo quella contraddizione perché poi succede che in questa uguaglianza tutti fondamentalmente sani vengono fuori le dimensioni più diverse l’individualismo più totale nell’ambito di un fondamento di sanità uguale per tutti. Poi vengono fuori le originalità più complete. Non significa affatto che il comportamento, l’atteggiamento gli affetti di queste persone sane siano tutti uguali, sono tutti completamente diversi». Poi nel dibattito venne rivolta all’ultimo relatore una domanda che suonava più o meno così: «Può un individuo sano di mente veramente delinquere?»

A questa domanda lo psichiatra rispose: «Forse quello che ammazza, quello che uccide, qualcosa di folle lo deve avere per forza da qualche parte».

Quella risposta è rimasta per anni in attesa di una conferma che la liberasse da quel “forse”, fino al 2010 quando Massimo Fagioli, in una intervista a Left, quasi a completare e specificare il discorso sugli «sciancati cui raddrizzare le gambe», disse: «Non è che io non picchio un bambino perché è vietato, ma perché proprio non mi si alza la mano». Così

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