Nato in una famiglia di musicisti Michele Dall’Ongaro si è da sempre interessato alla divulgazione musicale. Ha da poco lasciato l’incarico all’Accademia di Santa Cecilia ed ora, dopo aver portato in Oman il suo Robin Hood su libretto di Vincenzo De Vivo, si appresta a scrivere un’opera su Amedeo Modigliani. Nel frattempo ha registrato una Suite per violino e orchestra dallo Schiaccianoci di Čajkovskij, dalla Philarmonia di Londra con Chiarlie Siem e Oleg Caetanij. E ha realizzato per Rai 5 uno speciale mentre per Rai Radio 3 curerà un ciclo di conferenze multimediali sulla musica del Novecento. E come se non bastasse sta scrivendo un libro su Claudio Abbado con Daniele Abbado.
Maestro Dall’Ongaro durante la sua direzione all’Accademia di Santa Cecilia ha fatto innovazione, realizzando molti progetti. Ha aperto le porte di Santa Cecilia alla città, ha incoraggiato sempre più la divulgazione e la didattica. Ha lavorato a lungo con il direttore Antonio Pappano e poi ne ha scelto il successore, Daniel Harding. Quale bilancio di questi anni?
Beh, non sta a me dirlo, ma posso dire che ho trovato a Santa Cecilia un ambiente per me naturale. La frequento da quando avevo tre anni, per molti anni sono stato abbonato, poi sono diventato accademico e successivamente vicepresidente di Bruno Cagli. Infine, sono stato eletto presidente e poi confermato per un secondo mandato. In Accademia i cambiamenti devono essere graduali ma costanti, sempre alimentati dalla ricerca, lasciando che dall’esterno si respiri continuità ma anche innovazione: come diceva Massimo Bontempelli «la tradizione è una concatenazione di rivoluzioni». Quando sono arrivato a Santa Cecilia ho trovato una situazione molto positiva dal punto di vista gestionale e artistico, era come guidare una Ferrari. Ma abbiamo subito dovuto svolgere un grande lavoro per affrontare due fatti drammatici: l’acuirsi della crisi finanziaria globale e il Covid-19. Abbiamo lavorato d’anticipo per cercare di arginare i problemi e far funzionare al meglio le cose; in questa operazione, condotta insieme a tutti i lavoratori della Fondazione, siamo stati sostenuti dal contributo di soci pubblici e privati, dal ministero della Cultura, da mecenati e abbonati. Il loro apporto è stato fondamentale anche per garantire l’occupazione e creare nuove proposte artistiche, portando avanti il dialogo con la nostra comunità. Il pubblico tradizionale non ci ha mai abbandonato, così come quello nuovo raggiunto sul web. Accanto alla stagione in abbonamento, abbiamo costruito e arricchito un reticolo di attività allo scopo di rafforzare un’idea di pólis: la bibliomediateca, le pubblicazioni, i convegni, i corsi di alto perfezionamento, la JuniOrchestra, i tanti cori giovanili, l’investimento sul patrimonio popolare, l’attività educativa, il coro e l’orchestra amatoriale, la divulgazione nei teatri e sui social, la collaborazione con altre istituzioni e associazioni, una banda. Un certo tessuto dell’Italia musicale si regge su queste due realtà: i cori amatoriali e le bande; è quindi necessario osservare questi fenomeni con interesse, senza snobismi.
E il Parco della Musica?
La nascita del Parco della Musica è stato un evento importantissimo per lo sviluppo della vita dell’Accademia. Si riflette raramente sull’importanza Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivistaQuesto articolo è riservato agli abbonati
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