Dalla ricostruzione della Pala di San Marco alle visioni intime del convento domenicano, la mostra fiorentina curata da Strehlke, Casciu e Tartuferi rivela un artista lontano dall’agiografia vasariana: capace di innovare luce, colore e spazio, dialogando con Brunelleschi, Masaccio e Gentile

La tavolozza di colori brillanti, la luce tersa e leggera, gli sfondi dorati e le ali degli angeli che si aprono come arcobaleni di fronte a una madonna ragazzina, immagine longilinea di una fanciulla appena sbocciata. Un volto femminile dolcissimo - sempre lo stesso - luminoso, ritorna in tutte le opere di Beato Angelico, in Annunciazioni e Madonne col bambino. Più in là sfilano eleganti figure di santi ammantati di rosso, di blu e di viola come il folgorante san Nicola dalla pelle nera. E poi quel volto del Cristo come Re dei re dagli occhi di brace, rossi di dolore, che ci appare come il volto sofferente di un naufrago.

Le 140 opere di Beato Angelico, eccezionalmente radunate per l’omonima mostra fiorentina aperta fino al 25 gennaio (catalogo Marsilio Arte), sono tutte di argomento religioso ma ci parlano profondamente di umanità e appaiono come una celebrazione della vita. Attraversando le sale dell’esposizione in Palazzo Strozzi a Firenze dedicata a questo protagonista del Quattrocento gli occhi si riempiono di luce.

In quanto predicatore domenicano immaginiamo che concepisse le sue tele come prediche visive, ma nel tripudio di colori la sua arte è più forte del dogma.

La cristallina chiarezza ci appare più come chiarezza di pensiero che come astrazione metafisica. Il percorso di opere squadernate nelle sale rinascimentali - molte delle quali provenienti da musei stranieri e riunite qui insieme per la prima volta - ci parlano con una sinfonia di timbri, colori che trasmettono emozioni. La sua Pala di San Marco (1438-42), ricostruita per questa occasione (era stata smembrata in 18 pezzi poi rivenduti) ora si può apprezzare - letteralmente - in tutto il suo splendore. Visitando la mostra in Palazzo Strozzi, che poi prosegue al Museo di San Marco, risuonano svalutanti le parole di Vasari

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