Il presidente del Consiglio si muove sempre di più come il Ceo di una grande impresa ossessionato dalla relazione trimestrale e chiamato a dare l’idea ai mercati finanziari di decidere facendo quelle scelte che da sempre apprezzano. In questo sì, è molto simile a Marchionne.
Il punto è che guadagnare tempo sul banco dei pegni dei nostri titoli del debito pubblico non vale il prezzo che paghiamo. La definitiva quanto gratuita manomissione dell’articolo 18 e la legge finanziaria disegnano un preciso obiettivo di marca neoliberale: svalutare il lavoro per recuperare qualche briciolo di Pil. Oltre a essere inique queste scelte saranno ulteriormente recessive. Il sindacato rivendica una strada alternativa ma vengono al pettine dei nodi irrisolti.
Pur in una condizione di difficoltà, determinata da cambiamenti epocali che hanno indebolito il lavoro organizzato, avremmo dovuto utilizzare il capitale di credibilità dei due milioni del Circo Massimo nel 2002 non per fare un partito nuovo, come qualcuno sperava, o per conquistarne uno precocemente invecchiato. Ma per costruire una grande battaglia su welfare, superamento del lavoro precario, estensione dei diritti di cittadinanza. Non che non ci siano state tante vertenze sindacali con al centro i precari ma l’impressione è che non sia mai diventata una questione prioritaria per tutta la Cgil.
Avremmo dovuto fare di più per diventare punto di riferimento anche simbolico di due generazioni di esclusi. Per rivendicare con più convinzione la riscrittura del nostro Codice civile, mettendo al centro il lavoro tout court come diceva Massimo D’Antona o il progetto di vita che è nel lavoro come diceva Bruno Trentin. Scardinando la subordinazione da dentro con la contrattazione e da fuori con una rilettura dell’articolo 2094. Sarà una grande manifestazione quella del 25. Lo dicono i segnali che vengono dalle assemblee, dalle iniziative e dagli scioperi degli ultimi giorni. La domanda corretta non è, però, se la Cgil sarà in grado di replicare il 2002. La domanda è se la Cgil sarà in grado di andare oltre il 25 organizzando una mobilitazione diffusa, che faccia perno anche sullo sciopero generale, mettendo insieme una coalizione sociale ampia di dipendenti e free lance, disoccupati, precari, studenti.
Non è una questione di numeri ma di priorità. Cambiare la politica economica del governo e mettere in discussione dal basso l’austerità ottusa dell’Ue prima che populismi e fascismi prendano il sopravvento. La rappresentanza sociale ha un valore direttamente politico, oggi più che mai.