Un ragazzo con la testa piena di sogni se ne sta seduto a prua, su una carretta piena di migranti, gestita da un mafioso libico. Ha 19 anni, si chiama Amal, «che in arabo vuol dire speranza». «Lo avevano sistemato sulla punta proprio per il suo nome » scrive Massimo Carlotto. «E per quei cinque grani di pepe che stringeva nel pugno». Semi preziosi che gli erano stati regalati dal nonno Boubacar Dembélé, guaritore, saggio, poeta, «narratore delle storie della settima via del pepe e custode dei segreti del foggara, l’arte di scavare i pozzi nel deserto». Amal è il protagonista del nuovo libro di Carlotto, La via del pepe ( Edizioni e/o) che racconta l’ odissea dei migranti nel Mediterraneo con linguaggio icastico e poetico. Complici le suggestive tavole dell’illustratore Alessandro Sanna.
Ricorrere alla fiaba, Carlotto, è anche un modo per restituire identità e dignità a quei migranti dall’Africa che le cronache trattano in termini di emergenza sicuritaria?
Sì, questa era la mia intenzione. Da tempo volevo scrivere su Lampedusa e su questi viaggi per mare che si trasformano in tragedia. Ma mi rendevo conto che non riuscivo a rendere la crudezza della realtà. Allora ho scelto di ricorrere ad un mondo fantastico per rendere la realtà più “ lucida”. Poi ho avuto la fortuna di incontrare un autore come Alessandro Sanna che ha fatto un lavoro straordinario, creando queste immagini pazzesche, così violente…
Immagini di grande impatto e insieme poetiche, perché le definisce violente?
Mi riferisco alla forza espressiva che hanno nel rappresentare la verità. In questo progetto il mio obiettivo era parlare degli annegati. Restituire loro una fisicità. Un po’ come avevo fatto a suo tempo con i desaparecidos dell’Argentina. Mi sono chiesto quale fosse il modo migliore per ridare una presenza a queste persone che non esistono.
La tridimensionalità che assume il racconto nel rapporto fra parola e immagine si amplifica a teatro, come si è potuto vedere con il suon reading a Bookcity.
Lo riproporrò a Roma, il 6 dicembre, nell’ambito di “Più libri più liberi”. Il teatro mi permette di stabilire con il pubblico un rapporto più diretto. A dare respiro al racconto contribuiscono le musiche originali scritte da Maurizio Camardi e Mauro Palmas, due musicisti con cui collaboro da tempo.
Il teatro, il noir, il romanzo classico, la fiaba, Carlotto sta diventando un autore sempre più poliedrico per cercare di “bucare” l’indifferenza e l’assuefazione degli italiani rispetto a tragedie come questa?
Mi chiedo quale sia la forma migliore. Essendo un autore di genere forse posso muovermi con più facilità all’interno di forme creative diverse. Ma è sempre la realtà a guidarmi. Io vivo a Padova e in queste piccole città del Nord approdano quelli che non annegano a Lampedusa. Arrivano con una fatica enorme, finiscono i soldi e diventano mendicanti. Il loro sogno è superare la frontiera. Qui, tra Verona e Padova, operano bande che li aiutano a passare dall’altra parte ma vogliono soldi. I migranti vengono continuamente derubati. Le donne scompaiono. Non se ne vedono in città. E questo è un grande mistero. Scrivendo le Vendicatrici (una serie di romanzi pubblicati da Einaudi ndr) ho dedicato molta attenzione a questo traffico di persone. I siriani hanno una loro organizzazione, in qualche modo se la cavano, gli africani no. Diventano dei disperati che, senza parlare italiano, vagano per questa città diventata leghista e che, di fatto, li odia. Di questa situazione non si può non scrivere, mi sono detto. Anche questa mattina, uscendo di casa per venire allo studio, ne ho incontrati due davanti al supermarket che chiedono l’elemosina, perché la gente li rifiuta. Si sta costruendo giorno dopo giorno una cultura dell’odio che ci fa pensare che loro vengono qua per rubarci tutto; quando, in realtà, non ci rubano proprio niente.
Qualche anno fa lei ha denunciato la schizofrenia del Nord Est che ha avuto un gran bisogno dei migranti come mano d’opera, però non li ha mai riconosciuti. E mentre li chiamava a lavorare progettava già di dislocare le imprese e di rispedirli al loro Paese. Ora siamo passati ad una fase ulteriore?
Sì, siamo già oltre. I finanziamenti alla Lega sono stati dati perché volevano una forza politica xenofoba che avesse la legittimità politica per mandare via le persone. Come li hanno scacciati dal territorio? Mettendo la polizia e i vigili urbani davanti agli ambulatori medici. I migranti non ha avuto più nessuna forma di aiuto sanitario. Sono dovuti andare via anche quei pochi medici che davano assistenza. Così siamo entrati in una nuova fase: dare la colpa della crisi a chi ha la pelle di un colore diverso. La Lega con Salvini ha un nuovo corso, in alleanza con la nuova destra e sta rilanciando il discorso razzista. Ma al di là di questo c’è proprio una cultura del territorio che fa sì che la gente pensi “va bene così” quando affonda un barcone, e poi ” che se ne stiano a casa loro”, “non abbiamo bisogno di loro”… Padova è una città dove la gente beve lo spritz in piazza e arrivano loro, ti prendono per la manica e ti dicono: “ho fame”. Sono insistenti, e la gente dice : danno fastidio. Dall’altra parte c’è il Comune, purtroppo ora abbiamo un’amministrazione leghista, che sta facendo una guerra neanche troppo sotterranea alle associazioni che hanno sempre dato una mano agli immigrati.
Per contrasto in questo libro lei evoca una cultura africana ricchissima. Colpisce quel passaggio, bello e terribile, in cui Amal, approdato in una al di là che somiglia molto all’al di qua viene accolto da esorcisti e da una raffica di pregiudizi. Siamo orgogliosi di essere così ignoranti?
Di fatto la cultura africana non esiste quasi più in Europa, basta dare uno sguardo al mondo editoriale, è crollata la richiesta di letteratura africana. è difficilissimo vedere il cinema africano nelle nostre sale… Così ti trovi di fronte persone che sono completamente sconosciute e la strada è quella del pregiudizio. Ne La via del pepe ho utilizzato espressamente tutta una serie di luoghi comuni.
«Finta fiaba africana per europei benpensanti» recita, non a caso, il sottotitolo del libro.
Perché è sui luoghi comuni che dobbiamo confrontarci, per far partire un dialogo in nuova forma.
Lo scienziato David Quammen dice che temiamo l’ebola, più di altri virus anche più pericolosi perché si trasmettono per via aerea, perché viene dall’Africa. Così è nato il mito della pandemia.
La traduzione pratica di tutto questo sono le ordinanze comunali che avvertono “attenti all’ebola”, “attenti a chi viene dall’Africa”. Per cui adesso, ogni tanto, beccano un migrante e lo portano in ospedale per fare controlli riguardo all’ebola.
Da ultimo, tornando alla questione argentina, a cui lei accenava all’inizio: Bergoglio non ha mai detto una parola sui desaparecidos e suoi loro bambini dati in adozione in modo illegale. Alcuni giorni fa il Papa ha incontrato Estela Carlotto, una copertura?
In Argentina si dice “La Chiesa è l’unica madre che ha tradito i propri figli”. Io continuo ad esserne convinto. Un cambiamento vero ci sarà il giorno in cui la Chiesa renderà pubblica la lista dei bambini scomparsi dicendo dove si trovano quei “nipoti che ora sono adulti. La gerarchia ecclesiastica ha sempre gestito questa vicenda, per cui sanno e bisogna che anche loro aprano gli archivi, altrimenti è impossibile raggiungere un livello di libertà e giustizia e ricomporre culturalmente il Paese.
Bergoglio è accusato di aver consegnato alla dittatura alcuni gesuiti dissidenti. Certamente li espulse dalla comunità. E questo bastava per segnalarli e renderli “aggredibili”…
Sì infatti. Ma ci sono anche responsabilità di Bergoglio nella questione dei nipoti “rubati”. Il Papa è stato chiamato a testimoniare ad un processo, ora bisogna vedere se lo farà o meno. Ma la richiesta è stata avanzata. Lui ha negato l’esistenza di questa pratica di adozioni illegali e clandestine con cui, durante la dittatura, si facevano sparire i bambini degli oppositori. Ma è venuto fuori che in realtà sapeva. è una questione controversa che deve essere sciolta.