«La democrazia può partire solo dal basso. Il nuovo Rinascimento avrà origine nei Comuni». È il 10 febbraio 2008 e con queste parole Beppe Grillo annuncia la “discesa in campo” del suo Movimento in occasione delle Amministrative di aprile.
Il governo Prodi è caduto da solo un mese e il comico genovese lancia sul Blog il Comunicato politico numero 1 contro un sistema elettorale che impedisce al cittadino «di scegliere i propri rappresentanti». Da allora il mondo è cambiato, soprattutto quello pentastellato: il Movimento è cresciuto, fino a diventare la prima forza politica del Paese, e il vigore di quelle parole si è perso un po’ per strada.
I Comuni non sono più al centro del progetto grilliano, anzi, gli amministratori locali come Federico Pizzarotti e Filippo Nogarin sono costantemente guardati con sospetto dallo Staff e persino le “cariche” interne del partito vengono scelte con liste bloccate. Un paradosso per chi ha fatto della battaglia contro il Porcellum un punto fermo della sua visione politica. Il Movimento orizzontale e dal basso è morto. E non solo perché Beppe Grillo ,“non leader” solo al comando ha nominato un misterioso direttorio di cinque colonnelli per gestire un esercito in rotta, ma soprattutto perché la Rete, il cuore del grillismo non ha più alcuna voce in capitolo.
Gruppi dirigenti, alleanze in Europa ed espulsioni non possono essere discussi dagli iscritti. Le decisioni già prese si votano solo a pacchetti: prendere o lasciare. Un metodo facilitato dalla nebulosità di un “non statuto” che nella pratica si trasforma in arbitrio del capo. Che può decidere persino di scavalcare i regolamenti interni del gruppo parlamentare e consultare direttamente il web. Per capire se son caduti in disgrazia, ai cittadini eletti non resta che consultare il sito della Casaleggio associati al mattino e vedere se qualcuno li prende di mira con un post anonimo. Risultato: i militanti disertano il Blog e gli elettori abbandonano il Movimento 5 stelle. Come è successo alle Regionali del 23 novembre, quando le urne hanno sentenziato: il 13,3 per cento in Emilia Romagna e un risicato 4,9 in Calabria.
Il Movimento 5 stelle è imploso. E non sarà più quello di prima. «Per questo motivo ho deciso, in maniera provocatoria, di andare in tv nonostante il divieto dello Staff», dice Sebastiano Barbanti, deputato pentastellato calabrese, finito all’improvviso nella lista dei possibili “espellendi” per la storia della mancata rendicontazione. «Credevo che, soprattutto dopo le elezioni, bisognasse farsi vedere davanti agli elettori, dare spiegazioni. Dobbiamo fare autocritica. Questi test ti fanno capire che qualcosa non va. Dobbiamo fare un’analisi della situazione, capire gli errori e risolverli». E in Calabria, secondo Barbanti, gli errori hanno un nome e un cognome: l’onorevole Nicola Morra. «Io sono stato messo da parte sulla gestione della campagna elettorale, ha gestito tutto lui insieme a Dalila Nesci», dice il deputato. «È ovvio però che dopo i risultati qualcuno dovrà assumersi un pelino le proprie responsabilità. Io non ho rapporti con lo Staff, Morra sì. Il problema è il modo in cui ha gestito la campagna: con i meet up abbandonati e con esperienze spiacevoli di diffide sul territorio».