Succede anni fa: una delegazione dei comitati del centro storico di Roma espone al prefetto un “dossier” fitto di abusi, irregolarità, palesi illegalità, con una mappa di catene di ristoranti e pizzerie che sono qui solo napoletane, là solo calabresi o siciliane. Il prefetto prende atto e tutto continua, come e peggio di prima.
Fino al solito magistrato che pazientemente individua la matrice malavitosa di quelle reti di locali di ristorazione, le sottrae alle varie mafie ponendole sotto amministrazione controllata. Erano legali quelle licenze? Quante attività illegali ci sono? Chi le controlla? Il Comune di Roma? La Camera di commercio? La Prefettura? Nei mesi scorsi la giunta Marino e il I Municipio, incalzati da campagne molto pressanti dei Comitati e di Nathalie Naim, consigliere del Municipio (Lista civica per Marino), hanno riportato ordine nella invasione dilagante dei tavolini, ridando un volto accettabile a piazza Navona e dintorni. Pochi giorni dopo, in qualche strada, tavolino “selvaggio” è ricomparso. Non c’è un vigile urbano che, a piedi o in bicicletta, passi a controllare ogni giorno e faccia rispettare leggi e regolamenti. La stragrande maggioranza dei vigili romani sta negli uffici, come la gran parte dei dipendenti dell’Ama pur aumentati di migliaia di unità con la Parentopoli targata Alemanno-Panzironi & Co.
Piccoli esempi? Mica tanto, e poi proprio questa illegalità diffusa e incontrollata è il brodo di coltura più fertile per il “pizzo” (di cui molto si parla, molto anche a Roma), per i lavori abusivi tutti in “nero”, per lo spaccio di droga, per tanti favori reciproci dei più pericolosi fra criminali e politici. Di fronte alla marea maleodorante che rischia di sommergere il Campidoglio provenendo dall’era Alemanno, dalle alleanze sistematiche fra “neri” e malavitosi organizzati, con qualche esponente del Pd però che figurerebbe “a libro paga”, possiamo soltanto alzare l’indice accusatore chiedendo ogni sorta di azzeramenti? O non dobbiamo anche analizzare le cause di simili percorsi perversi, le elusioni palesi delle regole e porvi al più presto rimedio?
Ha sostenuto di recente il presidente della Commissione nazionale anti-corruzione, Raffaele Cantone – già paragonato da Maurizio Gasparri, uno dei “vecchi” ormai delle centurie neofasciste, al dittatore cambogiano Pol Pot: «Dopo Tangentopoli si è smantellato completamente il sistema dei controlli amministrativi che in alcuni casi sono stati privatizzati, si è sventrato il sistema dei controlli sugli enti locali». Ma chi gli fa eco?
Cantone accusa la depenalizzazione del falso in bilancio, le prescrizioni troppo brevi, l’autoriciclaggio che rendono impuniti e impunibili tanti reati di corruzione, peculato, concussione. E conclude: «La lotta alla corruzione non può essere lasciata soltanto al giudice penale». Oggi è così. Quindi fa bene Renzi a proclamare «Via tutti i corrotti». Ma farebbe ancor meglio ad approvare la riforma della giustizia col falso in bilancio, l’autoriciclaggio e prescrizioni meno brevi. Da domani. E non invocare o attuare – come con lo Sblocca Italia – una “semplificazione” che elimina controlli tecnici invece più che mai fondamentali.