«La discontinuità della sua prestazione lavorativa rappresenta un elemento di vanificazione dell’impegno posto in essere dalla collettività dei nostri dipendenti per superare le difficoltà dell’attuale momento». Per Marco l’era del Jobs act comincia così, dalla cassetta della posta.
Marco è il nome di fantasia di un operaio della Piaggio di Pontedera. Come lui, almeno una quarantina di colleghi s’è vista recapitare una lettera simile «mentre siamo fermi da mesi», sottolinea Massimo Cappellini, Rsu Fiom con un quarto di secolo di Piaggio sulle spalle. L’azienda (proprietà di Immsi, una finanziaria il cui primo azionista è Roberto Colaninno), dice che nella fabbrica storica della notissima marca di scooter, ci sarebbe «un tasso di assenteismo complessivo significativamente più elevato rispetto alle aziende del settore». Colpa di Marco e degli altri, pare, per via della loro «presenza al lavoro del tutto discontinua, caratterizzata da ripetute assenze di breve periodo, imputate a titoli diversi, potenzialmente tali da determinare un oggettivo impedimen- to alla possibilità di un utile impiego della sua prestazione lavorativa». «La lettera mi contesta 81 giorni», spiega Marco. «Ho un contratto part time verticale il che significa che lavoro 7 mesi l’anno. Dai certificati che ho non tornano assolutamente i conti con i giorni contestatimi nella lettera. Non solo, il periodo dell’assenza comprenderebbe pure i restanti 5 mesi di fermo lavorativo», sbotta.
PART TIME VERTICALE
La fabbrica di Pontedera, a est della Piana di Pisa, è un gigante mezzo addormentato nella pianura tra Pisa e Livorno. I tremila dipendenti – due terzi dei quali operai – sono in contratto di solidarietà e, dal 24 novembre, sono tutti a casa. Torneranno a lavoro il 26 di gennaio, ma chi ha ricevuto la lettera non ha aspettato e ha immediatamente preso contatto con il sindacato.
Simone Selmi, quarant’anni, metà dei quali alla Piaggio, è Rsu della Fiom e delegato alla sicurezza. Di quelle lettere ne ha già lette altre due e riguardano assenze per malattia di 23 e 26 giorni nell’anno solare, tutt’altro che clamorose. «Compresi periodi in cui il lavora- tore è a casa», dice confermando le parole di Marco.
A ricevere l’inquietante messaggio, secondo il sindacato, «sono soprattutto gli operai in part time verticali», un contratto a tempo indeterminato che riguarda i 250 lavoratori chiamati solo per sette mesi l’anno, durante i picchi di produzione. «E i cinque mesi a casa non vengono né pagati, né riconosciuti dall’Inps», racconta Mila, in part time verticale dal 2009 dopo sette anni di contratti precari Anche Mila è un nome inventato, per evitare eventuali rappresaglie. «Abbiamo solo una maggiorazione, chi del 5 per cento e chi del 10 per cento – il salario oscilla tra 1.200 e 1.300 euro – e poi ci si rivede alla tredicesima».
Certo, in quei mesi di fermo potrebbero cercare un altro impiego, ma Piaggio ti vuole a disposizione sempre, perché può sempre convocarti da un momento all’altro. «Il part time verticale – chiarisce Cappelli- ni – è un modo con cui l’azienda concentra la produzione per sfruttare al meglio gli ammor- tizzatori sociali». Ossia scaricando sull’Inps la maggior quantità dei costi. «Una scelta che ricade sulla produzione dell’Ape, che ormai va a finire, e sulle meccaniche dove si montano motori che vengono importati».
«Si prende servizio il primo lunedì di marzo e si va avanti sette mesi, prolungabili al massimo fino a dieci. Ma sono anni che non si lavora un giorno di più», continua Mila. «In compenso l’azienda ti spreme in quei mesi chiedendo straordinari di due ore più i sabati mattina». Ma Mila non li fa, e anche molti altri non li fanno: ogni sabato la Fiom proclama uno sciopero, per chiedere di spalmare la produzione anziché spremere i lavoratori. L’adesione agli scioperi del sabato è altissima tanto che di 6-7 linee di montaggio ne funzionano al massimo un paio. Una strategia vincente degli operai. Anzi delle operaie, visto che il 90% delle tute blu alla catena è composto di donne.
IN GINOCCHIO
Quello in Piaggio è un lavoro che spezza le braccia. Ma anche le gambe, visto che le lavorazioni costringono operaie e operai a inginocchiarsi più volte per ogni scooter che passa in postazione. «L’impiego in catena è faticoso, gli stazionamenti in postazione hanno tempi sempre più ridotti ma per un numero di mansioni sempre più elevato», racconta ancora Mila. «Le plastiche sono da spingere, da pren- dere a martellate. E i tubi non entrano, bisogna scaldarli sotto le lampade per ore.
A volte succede che chi apre le casse di quella roba poi cada svenuto per il cattivo odore ma quei materiali dobbiamo usarli finché non termina il container». «A questo aggiungi i materiali scadenti – riprende Selmi – roba che ormai viene solo dal Vietnam o dall’India, luoghi dove l’azienda ha anche esternalizzato alcune produzioni». E a fine turno le braccia sono spezzate anche se hai solo quarant’anni, come la media degli assunti in part time verticale. «C’è chi a 35 anni ha già un indennizzo in busta paga per i tendini sfilacciati. Mio padre ha lavorato qui in un’altra epoca ed è andato in pensione senza malattie professionali», ricorda Mila.