Da una fotografia scattata nel 1917, durante la prima guerra mondiale, è nato il nuovo spettacolo di Amedeo Fago. Quel ricordo di famiglia, ritrovato un po’ per caso, lo ha spinto a fare una ricerca a ritroso nel tempo che ha riportato alla luce spaccati di una Puglia novecentesca che guardava all’Europa e al Medio Oriente. Su questo filo, fra memoria e storia, si dipana I parenti delle salme del regista, scenografo e architetto romano, che debutta il 4 marzo al Théatre Gerard Philipe di Saint Dénis, a Parigi, nell’ambito del festival Le standard idéal. Con musiche di Franco Piersanti e costumi di Lia Francesca Morandini.
«La grande guerra ha un suo peso nel testo ma vi si arriva attraverso le storie private dei personaggi che sono riuscito a ricostruire con una complessa ricerca in archivi pubblici e privati», racconta Amedeo Fago, durante una pausa delle prove. La drammaturgia, nata da lettere, foto e diari, riannoda i fili della storia familiare del regista, ma non solo. «Mio nonno era un imprenditore ed ebbe dieci figli, come si usava un tempo. Che poi diventarono professionisti, medici, diplomatici. Fra loro, per esempio, emerge la figura di Vincenzo Fago che fondò l’Università del Cairo, lavorò nel Gabinetto del principe Fuad in Egitto e in Turchia fu al fianco Kemal Atatürk. Insomma ho ritrovato documenti interessanti anche dal punto di vista storico al di là delle storie private e personali» .
Italia, Turchia, Egitto. Una storia che lega Puglia e Medio Oriente.
Il fratello di mio padre scrisse una monografia sull’arte araba. Era un letterato. Nello spettacolo si recita una delle sue poesie. Fu un personaggio che in qualche modo varrebbe la pena di riscoprire.
In scena lei è affiancato da un giovane attore. Qual è il suo ruolo?
Si chiama Giulio Pampiglione, è un giovane attore di talento. In scena fa la parte di mio padre da giovane, che io non ho conosciuto, perché sono nato quando lui era già anziano.
Potremmo dire che il vero protagonista dello spettacolo è il tempo?
Il discorso sul tempo mi ha sempre interessato molto. In particolare la contemporaneità dei tempi. Ci ho lavorato sia livello di ricerca che di scrittura.
Ma anche dal vivo con interventi multimediali?
Dal punto di vista tecnico lo spettacolo è piuttosto complesso. Con effetti visivi digitali ho realizzato una animazione della fotografia del 1917, ma faccio anche apparire i vari personaggi. Dal vivo siamo due, ma altri dieci attori sono in video. In una forma particolare. Utilizzando due schermi co-assiali si riescono ad ottenere effetti interessanti.
Da tempo lei preferisce lavorare a Parigi. C’è un’altra considerazione del lavoro teatrale rispetto all’Italia?
A Parigi ho trovato accoglienza, un produttore che mi ha sostenuto. Il mio spettacolo storico, Risotto, negli anni è andato in scena molte volte in Francia. Qui mi trovo benissimo.
Ci sarebbe da imparare dai francesi riguardo al sostegno che offrono reti produttive e di distribuzione?
Oggi i francesi si lamentano moltissimo. Dicono che qui sta cambiando tutto. Ma la scena continua ad essere culturalmente molto viva. Solo per fare un esempio nel giorno del mio debutto a Parigi ci saranno 15 prime. In città ci sono 500 teatri. Parigi è la terza città al mondo per offerta teatrale, dopo New York e Londra. Quanto a vita teatrale non c’è paragone con l’Italia. Basta dire che a Roma i dei teatri più importanti, L’Eliseo e il Valle, sono chiusi.
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