Dalla nuova fiction cult di Sky al Numero Zero di Eco, il clima degli anni di Mani Pulite diventa metafora perfetta per raccontare un passato che è ancora presente.

Millenovecentonovantadue. Siamo ancora qui. Dove tutto è cominciato. Dove il futuro è stato inghiottito dal passato. Un eterno ieri che, pericolosamente, a macchia d’olio, dilaga sull’oggi e si dilata nel tempo unico di un racconto che continua a riaffiorare perché non risolto.

Una strana coincidenza ripropone oggi, quasi a volerle storicizzare, le stesse vicende contestualizzate in quelle quattro cifre. Da una parte la serie tv prodotta da Sky e in onda da martedi 24 marzo, che prende il titolo proprio da quell’anno, 1992 appunto, e dall’altra il Numero Zero di Eco ambientato nei tre mesi che vanno dall’arresto di Mario Chiesa, inizio di Tangentopoli, al giugno del 1992. «Considero quell’anno un punto di displuvio nella storia della società italiana» ha detto lo stesso semiologo parlando del suo ultimo libro.

Il clima degli anni di Mani Pulite diventa metafora perfetta per raccontare un passato che è ancora presente. Una ferita collettiva, un taglio netto al filo democratico che lascia il popolo scisso dal palazzo, la politica lontana dal Paese reale e apre spazi per una setticemia populista e dubbie medicine che propongono, come panacea di tutti i mali, il grande centro.

Dalla resurrezione della Lega di Salvini alla dialettica dell’M5s, fino al Partito della Nazione di Renzi. Un eterno ritorno in cui la soluzione viene ritrovata nella causa, e il gattopardesco “cambiare tutto perché nulla cambi” diventa l’emblema di un cortocircuito che investe e inghiotte in primis i nostri partiti politici e i mezzi di informazione.

Al centro di tutto troneggia la comunicazione, quella dell’Accorsi pubblicitario di successo ingaggiato da Publitalia’80 nella fiction Sky, quella di Domani, il giornale “macchina del fango” che prende vita dalla penna di Eco, e quella vera, ma fumosa e al limite del surreale, che, proprio a partire dal 1992, ha visto un’esplosione di presidenti operai, Roma ladrona, giaguari da smacchiare, rottamatori dall’accento dantesco e Speranze personificate ad hoc solo per prendere a braccetto la Paura. Domani: ieri, proprio come si intitola il libro che deve scrivere uno dei personaggi del romanzo di Eco per raccontare la nascita della nuova testata.

Titolo perfetto per sbrogliare il fil rouge di un presente che non è figlio della sua storia, ma la sua fotocopia,  tanto da seguirne pedissequamente i tratti in una realtà ormai sfilacciata, dove protagonisti e voci fuori campo si rincorrono in un’eco infinita. Mancano le risposte e salta agli occhi l’incapacità di mettere in atto nuovi metodi e nuove soluzioni in una crisi di sistema che sta travolgendo tutto e tutti. Senza tregua e senza arrestarsi.

Parlando di fiction è certo che le storie di ieri garantiscono a case editrici e di produzione un successo di pubblico assicurato. Da un lato grazie al meccanismo, vecchio quanto il mondo, del ritorno del già noto, dall’altro perché entriamo tragicamente in un loop simile a quello delle cronache morbose, che affollano appunto tv e giornali. Cronache in cui si parla di un delitto di cui ancora non si sono svelati mandanti e assassini, ma ben chiare rimangono le vittime: informazione e politica. Come ha dichiarato Paolo Mieli, oggi presidente di Rcs libri – e inventore del “mielismo”, un metodo di confezionare la notizia che ha cambiato (in peggio) il giornalismo dell’ultimo decennio – la storia del 1992 «costringe noi giornalisti a fare i conti col nostro lavoro». Le vicende che si sono susseguite  in quell’anno, e il loro modo di essere raccontate, come ricorda ancora Mieli «hanno segnato l’inizio di una degenerazione che coinvolge tutto il giornalismo. Dopo il 1992, è sempre stato più difficile distinguere tra la serie A e il giornalismo più scadente».

E non solo, i giornalisti dovrebbero ragionare sull’eterno ritorno dell’uguale, sulla decadenza e sui corsi e ricorsi storici del loro mestiere. Il revival della Democrazia cristiana, che vede il suo apice nell’elezione di Sergio Mattarella, uno dei figli della Prima Repubblica, oggi Capo dello Stato, ci fa rifletter su quella stagione non proprio encomiabile della storia italiana. Mai davvero defunta. Perché balzata nuovamente alla ribalta delle cronache giornalistiche con Mafia Capitale, Expo e interi consigli regionali indagati per consussione. E perché fulcro di prodotti di fiction pop che si sono rivelati premonitori e estremamente attuali, anche più di molti articoli apparsi su rinomate testate giornalistiche. Tutto torna insomma. Domani: ieri.

Giuseppe Gagliardi, regista della serie Sky 1992, presentando il suo ultimo lavoro, al ritorno dal Festival del Cinema di Berlino, ha spiegato: «La fiction ci racconta l’oggi. Molte delle vicende ripercorse evocano gli attuali scandali. Lo spettatore si troverà a rivivere l’entusiasmo con cui ai tempi venne accolta l’inchiesta Mani Pulite e proverà delusione nel riflettere sul presente». Delusione, ecco. Entusiasmi smorzati e frustrazione diffusa per le mille svolte politiche e sociali annunciate durate questi vent’anni in tripudio di proclami, spot pubblicitari e hashtag di successo, ma mai davvero realizzate.

Nel 2015 #lavoltabuona è solo l’ennesima trovata, quando ancora non sembra arrivare, la volta giusta. Quello che leggiamo tra le righe di Eco e vedremo in tv con il prossimo cult su Sky è una corsa vorace verso il futuro. Una corsa in cui l’unico movimento che l’Italia sembra compiere è un drammatico avvitamento su se stessa.