«Quando li ho incontrati in piazza, martedì scorso, non sono riuscito a dire agli insegnanti che in queste ore stanno scrivendo al premier su facebook, che devono votare ancora Pd, che il Pd è ancora casa loro». Parte dalla Buona Scuola l’intervista rilasciata da Stefano Fassina al settimanale Left.
«Così come non ho votato la delega sul lavoro, la revisione del Senato e l’Italicum, senza radicali modifiche non voterò il Ddl sulla Scuola» dice Fassina, sempre più con un piede fuori dal Pd.
Se gli dici poi che le sue sono dichiarazioni fatte dall’uscio del partito, Fassina ride: «Credo che siamo arrivati alla fine di un percorso in cui è evidente che non siamo di fronte a degli incidenti e a episodi di sbandamento. Il partito democratico di Renzi si è riposizionato in termini di cultura politica, in termini di programma, in termini di interessi che intende rappresentare. La traiettoria tracciata dai provvedimenti, dal jobs act, dall’Italicum, dalla Buona scuola, per quanto mi riguarda, è insostenibile».
Certo, «insieme ad altri sto discutendo», precisa, ma poi aggiunge: «Credo però che siamo giunti a un punto di rottura che vedo difficilmente reversibile». E se fosse un cittadino ligure? Voterebbe per la candidata del Pd o per il civatiano Pastorino, uscito dal Pd e candidato della sinistra? «Non voterei certamente per la Paita» dice Fassina, «anzi posso dire che voterei per Pastorino». E lo Statuto? Parlamentari e dirigenti dovrebbero votare i candidati del partito. Ma «quando perdiamo una figura come Sergio Cofferati senza battere ciglio e imbarchiamo figure improbabili che vengono da Forza Italia e dalla destra», continua Fassina, «credo che oltre lo Statuto valga anche la politica».
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