Mancano pochi mesi alla conferenza internazionale sul clima di Parigi (COP21) e da qui alla da di inizio, il 30 novembre, c’è da aspettarsi un moltiplicarsi di appelli, rapporti scientifici, mobilitazioni che facciano pressione sui governi del mondo e i grandi inquinatori (Stati Uniti e Cina i campioni) perché i dieci giorni di discussioni e trattative non partoriscano l’ennesima dichiarazione di intenti priva di impegni vincolanti.
Proprio a Parigi, ieri, sono stati presentati i risultati delle ricerche scientifiche che riguardano lo stato di salute degli Oceani. Se è vero che quando pensiamo al riscaldamento climatico pensiamo immediatamente all’aria, gli oceanografi ci avvertono che anche gli ecosistemi marini sono a rischio di cambiamenti “enormi e irreversibili” a meno di non intervenire con “una drastica riduzione delle emissioni di CO2”. La presentazioni dei dati è accompagnata da una loro presentazione su Science, tra le riviste scientifiche più autorevoli del pianeta. Gli autori dell’articolo – Carol Turley del Plymouth Marine Laboratory e Jean-Pierre Gattuso del Laboratoire d’Oceanographie di Villefranche – ci ricordano che l’impatto sull’ecosistema marino ha effetti immediati e diretti sulla fauna e, quindi, anche sulla quantità di pesce che saremo in grado di pescare.
“L’impatto sui principali organismi marini e costieri causati dalle emissioni di CO2 di origine antropica sono già rilevabili e molti degli effetti sono destinati a manifestarsi anche nel caso di uno scenario di riduzione delle emissioni. Questi impatti si stanno verificando in tutte le latitudini e sono diventati un problema globale che cancella la tradizionale distinzione Nord/Sud” scrivono gli scienziati.
Gli scienziati hanno spiegato che la CO2 sta cambiando la chimica delle acque marine a una velocità più rapida di qualsiasi altro evento catastrofico verificatosi sulla Terra prima che questa venisse abitata dall’uomo – quello per cui i cambiamenti non sono il frutto delle attività umane ma della naturale evoluzione dell’ecosistema, passato per eventi catastrofici per poi tornare in equilibrio, è uno degli argomenti di chi nega il fattore umano nel cambiamento climatico. Secondo Gattuso e i suoi colleghi gli Oceani hanno assorbito il 30% dell’anidride carbonica emessa nell’atmosfera dall’uomo dal 1750 in poi, rendendo così i mari più acidi di quanto non fossero. L’acqua ha anche assorbito la grande quantità del calore creato dalla società industriale a partire dagli anni 70, rendendo più difficile per i mari trattenere l’ossigeno.
Per questo, sottolineano gli scienziati, serve che nelle discussioni di Parigi, il tema Oceano venga affrontato in maniera strutturale e non solo menzionato in qualche nota e appendice come è capitato nelle precedenti conferenze internazionali.
Il tema dell’acqua non riguarda solo i mari: uno studio pubblicato qualche settimana fa ci segnala come le scorte di acqua dolce si stiano riducendo. I ricercatori hanno utilizzato le immagini raccolte per undici anni dai satelliti della NASA per esaminare le 37 più grandi falde acquifere del mondo, scoprendo che otto vengono consumate a una velocità molto maggiore di quanto non vengano naturalmente rifornite, mentre cinque, tra cui quella della Central Valley della California , sono “estremamente ” o ” molto stressate”. Secondo la ricerca, l’Arabia Saudita, l’India, il Pakistan e l’Africa settentrionale hanno le falde acquifere acquiferi più sollecitate. Come si può osservare dalla foto qui sotto, che raffigura la situazione della California, anche la prima economia americana non scherza: con le sue metropoli e la sua agricoltura intensiva e molto assetata sta conoscendo una crisi idrica senza precedenti che ha costretto il governatore Jerry Brown a limitare per decreto l’uso di acqua dei privati.
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