L’estate volge al termine e presto le montagne torneranno a essere coperte di neve. L’alta montagna è il luogo del pianeta incontaminato per eccellenza: le tracce umane sono rare e non ci sono insediamenti produttivi. Eppure anche in alta quota gli inquinanti non mancano. Questo almeno è quanto hanno verificato le missioni di Greenpeace spedite ai quattro angoli del pianeta a prelevare campioni di neve i cui risultati sono pubblicati in un rapporto diffuso oggi (qui la sintesi in italiano).
Tracce dei PFC, composti poli e per-florurati impiegati in numerosi processi industriali tra cui la produzione di capi di abbigliamento hi-tech da montagna (quelle giacche anti tutto che ci si mette d’inverno, le tende e così via) sono state trovate un po’ ovunque. I PFC possono causare danni al sistema riproduttivo e ormonale, favorire la crescita di cellule tumorali e sono sospetti agenti mutageni.
Le concentrazioni maggiori sono state trovate nel lago di Pilato, sui Monti Sibillini, tra Umbria e Marche, ma anche negli Alti Tatra, in Slovacchia, e sulle Alpi, nel parco nazionale svizzero. Le altre spedizioni sono state portate a termine nella Patagonia cilena, in Cina, Russia, Turchia e nei Paesi scandinavi.
«Abbiamo trovato tracce di PFC nei campioni di neve raccolti in tutte le località oggetto d’indagine», afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia. «Preoccupa che questi inquinanti pericolosi e persistenti si trovino persino nei luoghi più remoti del pianeta. Dei diciassette composti riscontrati in tutti i campioni di neve analizzati, ben quattro hanno mostrato le concentrazioni maggiori nei campioni di neve raccolti presso il lago di Pilato, tra cui il PFOS (Perfluorottano sulfonato) già soggetto a restrizioni nell’ambito della Convenzione di Stoccolma».
Greenpeace denuncia come molti marchi, che tendono ad usare le immagini della natura incontaminata per promuovere se stessi, siano proprio quelli che tendono a non voler adottare codici di condotta in materia di inquinamento con queste sostanze.
Marchi che producono anche abbigliamento outdoor, come Puma e Adidas, hanno già adottato obiettivi ambiziosi per l’eliminazione dei PFC. Alcune aziende più piccole ma specializzate nella produzione per l’outdoor, come Fjällräven, Paramo, Pyua, Rotauf e R’ADYS, producono già intere collezioni di abbigliamento idrorepellente PFC-free. Ma sono proprio i marchi leader del settore, come The North Face, Columbia, Patagonia, Salewa e Mammut, a mostrare scarso senso di responsabilità quando si tratta di eliminare i PFC.
Qui un video prodotto da Greenpeace che descrive le spedizioni e spiega la pericolosità dei PFC