L’infografica qui sotto è la rappresentazione del traffico generato su Twitter da Jeremy Corbyn, probabile vincitore della corsa per la leadership del partito laburista britannico e dai suoi avversari elaborata da Kantar. E’ un massacro: nel periodo preso in considerazione, gli ultimi tre mesi, il candidato di sinistra batte 10 a 1 il secondo arrivato. E supera di un milione di tweet anche il premier Cameron. Con una differenza: il numero di account che hanno twittato Corbyn è circa la metà (268mila a 560mila) di quelli che hanno scritto del premier conservatore, indice, scrivono i ricercatori di Kandar, di una ampia base militante molto attiva sui social. Il rumore sui social, specie se prodotto da un gruppo di persone, non è necessariamente in linea con i risultati elettorali o di primarie. Ma è comunque un buon indicatore di successo e di capacità di saper stare al mondo, nel mondo della politica contemporanea, fatta anche di lavoro sui social media e in rete.
Un altro buon indicatore di successo della campagna del deputato londinese, militante pacifista dall’aria un po’ assente è la vittoria del suo alleato Sadiq Khan, ex ministro di Gordon Brown, deputato londinese di origine pakistana che ha vinto la corsa per la nomina a candidato laburista alla carica di sindaco di Londra. Sarà lui a sfidare Boris Johnson. Terzo indicatore è quello commerciale: decine di migliaia di T-shirts, spillette (esaurite), mousepad che hanno consentito al candidato con meno mezzi di costruire e organizzare una campagna coi fiocchi. Per la precisione, gli oggetti sono 75mila, le 10mila magliette e 400mila sterline, a cui vanno sommate le donazioni di alcune confederazioni sindacali (Unite, in particolar modo) e quelle online (a oggi 210mila sterline). Anche in questo caso, comunque vada è chiaro che Corbyn ha generato un movimento, una volontà di esserci a fare parte, mentre gli altri candidati non hanno prodotto né partecipazione, né grandi emozioni.La efficace campagna di immagine e l’immane successo della persona (la Corbynmania) fanno un po’ a pugni con il messaggio ripetuto in maniera ossessiva dal 65enne Corbyn, che ci tiene a far sapere che la sua candidatura è figlia della volontà di far crescere la partecipazione politica e ridurre la personalizzazione («Non misuro i miei risultati personali, misuro quali risultati riusciamo a ottenere come società»). Il probabile leader della sinistra britannica ha anche spiegato che le decisioni importanti non saranno più appannaggio del gruppo parlamentare ma della base più ampia. Nel caso vincesse servirà una riforma dei meccanismi di funzionamento del Labour.
Ma non ci sono solo modernità della rete e marketing: molti media britannici hanno scherzato sul fatto che nel giorno in cui si sono chiuse le urne (giovedì) il candidato abbia tenuto il suo 100esimo comizio. Un po’ voglia di fare l’ultima apparizione nel proprio collegio, un po’ voglia di fare 100 e un po’ una sorta di dipendenza da incontri con la gente. Fatto sta che il fatto di aver percorso i quattro angoli del Regno Unito e aver riempito sale, pub e parchi ha probabilmente consentito a Corbyn di ascoltare, capire cosa cerca la base laburista disorientata dagli anni della crisi e dalla sconfitta di Ed Miliband. E poi i volontari, più di 15mila, che hanno voluto prestare del loro tempo per eleggere un candidato diverso, che non si presenta e non parla come uno che sta facendo calcoli politici.
Certo è che incontrando direttamente le persone e facendo un gran lavoro in rete, Corbyn è riuscito nell’impresa difficile di diventare il favorito in una corsa nella quale sembrava destinato a fare lo spettatore di successo, quello che raccoglie un buon risultato perché lo votano i giovani e i vecchi militanti di sinistra, ma che non può vincere. E invece, parlando di un welfare meno escludente, di chiusura del sistema missilistico nucleare Trident, di una nuova politica economica meno dipendente dal centro finanziario del mondo che è la City, Corbyn ha messo nell’angolo gli avversari.
In molti cominceranno a spiegare che vincere le primarie è un conto, ma le elezioni sono un’altra cosa, che si governa al centro. E’ una mezza verità: convincere i non elettori laburisti può essere difficile per chiunque, che ci si riesca solo essendo centristi non è una legge di natura. E non è affatto detto che una figura come quella di Corbyn non abbia la capacità di tenere assieme un po’ di quella Old England nostalgica dei tempi che furono e una generazione che è cresciuta negli anni della guerra in Iraq e della grande crisi e che dei fasti del blairismo prima maniera non sa che farsene. In caso di vittoria Corbyn dovrà imparare a fare alleanze, a parlare con il potere e a cercare le idee migliori. In questi mesi ha dimostrato di essere uno bravo a imparare e a posizionarsi.
Qui sotto il servizio di The Guardian sull’ultimo comizio di Jeremy Corbyn e sei domande secche e personali da Newsnight della Bbc
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