Oggi si vota in Grecia, la sfida è all’ultimo voto tra Syriza, il partito della sinistra guidato da Alexis Tsipreas e Nea Dimokratia, guidata da Vaghelis Meimarakis. Come abbiamo raccontato sul numero 35 di Left, La campagna elettorale è stata sottotono, gli entusiasmi di nove mesi fa non ci sono più e Syiriza rischia di perdere una parte del voto dei giovani. Sullo stesso numero di Left raccontavamo di Meimarakis, ex ministro della Difesa di Atene, amico di Berlino e molti scandali legati ai contratti sulle armi alle spalle. Ecco un suo ritratto di Francesco De Palo.
Un Paese che è il quarto importatore di armi al mondo e che in Europa detiene il record della più alta percentuale del suo Pil spesa per carri armati e caccia da combattimento, come può non sollevare sospetti su chi quei contratti miliardari ha siglato? Le elezioni elleniche del prossimo 20 settembre potrebbero portare sotto i riflettori un nuovo personaggio della politica greca, il neo segretario dei conservatori di Nea Dimokratia Vaghelis Meimarakis. Nei primi sondaggi sul gradimento ha staccato Tsipras di cinque punti percentuali e il suo partito è praticamente alla pari con Syriza. Non solo Meimarakis è stato presidente della Camera e fedelissimo di Berlino, ma soprattutto già ministro della Difesa di Atene, attenzionato per un buco da 210 milioni di euro per forniture militari alla Grecia.
Più volte ministro e portavoce parlamentare di ND, è riuscito a mettersi al riparo da dibattimenti e condanne grazie alla bizantina norma per l’autorizzazione a procedere che in Grecia ha una scadenza che si rinnova ad ogni cambio di parlamento. Negli ultimi tre anni nel Paese ve ne sono stati ben tre con i tempi che sono stati ricalcolati ad ogni nuova assemblea, con il plauso di chi altro non aspetta se non la prescrizione.
Ma facciamo un passo indietro. Dopo l’arresto nel 2012 dell’ex ministro della difesa Akis Tsogatsopoulos, braccio destro di Papandreou senior, accusato in solitario di tangenti per centinaia di milioni di euro, quasi tutti i ministri della Difesa ellenica degli ultimi tre lustri sono stati coinvolti in indagini su mazzette versate per contratti militari: Evangelos Venizelos (segretario del Pasok, poi vice premier e ministro degli esteri e delle finanze coinvolto anche nella Lista Lagarde che non fece mai protocollare), Vangelis Meimarakis e Yiannos Papantoniou. Esattamente un anno fa, del nostro, si è occupata la Corte Suprema per una serie di denunce sui programmi di armamento e sulla gestione dei sistemi di difesa ellenici. La recente storia parlamentare ellenica è piena zeppa di episodi inquietanti, come quando il leader della destra popolare George Karatzaferis portò in Aula un dossier con tutte le domande sugli acquisti specifici di armi, poi epitetato da Meimarakis “ricattatore”. O quando in occasione di un’audizione della commissione Difesa, chiamato a rispondere di alcuni numeri trovati nell’agenda di Tsogatsopoulos, Venizelos disse che erano numeri di telefono privati e non importi di mazzette come invece i pm sostenevano.
Le modalità relative alla fornitura di armi in Grecia sono sconcertanti. Secondo l’inchiestista greco Kostas Vaxevanis, che nel 2012 venne arrestato e processato perché pubblicò la Lista Lagarde degli evasori greci, non solo le armi venivano acquistate senza gare di appalto ma il denaro pubblico era elargito senza un controllo diretto del Parlamento. Sommergibili con timoni rotti, carri armati senza proiettili (si pensi che la Grecia ne ha 1000 mentre la Germania solo 250) il tutto con la giustificazione dell’urgenza, vista la delicata posizione geopolitica e lo spettro della Turchia che non manca di fare settimanalmente sconfinamenti aerei nell’Egeo con i suoi F16. Seguire il denaro, ripeteva Giovanni Falcone e nella storia greca moderna è un mantra utilissimo per mettere assieme fatti e policies.
Proprio a pochi giorni dalle nuove elezioni, la quarte in tre anni e le seconde in otto mesi, ecco farsi largo l’uomo che potrebbe essere chiamato a governare un esecutivo di larghe intese se i primi sondaggi dovessero essere rispettati. Meimarakis, subentrato alla guida del partito all’ex premier Samaras, gode infatti di buone sponde da parte del Presidente della Repubblica Procopios Pavlopoulos, anch’egli conservatore della prima ora e custode dei fatti greci degli ultimi trent’anni.
Nell’agosto del 2014, l’allora commissione d’inchiesta che analizzava documenti e testimonianze, venne scossa dall’intervento dell’eurodeputato di Syriza Chatzilamprou il quale puntò l’indice su contratti di armamenti firmati con note multinazionali, da cui mancavano circa 210 milioni di euro su totali 85 contratti che poi costarono all’erario ellenico anche una serie di penali per 3 miliardi. Secondo le accuse quei denari – in tutto o in parte – finirono ai tre ministri della difesa citati, tra cui anche Meimarakis che fino ad oggi ha sempre negato, ma su cui non c’è stata occasione neanche di votare l’autorizzazione a procedere.
Sullo sfondo ecco la sicurezza con cui Meimarakis sta guadagnando posizioni a discapito del Tsipras reo, agli occhi dei greci, di aver fatto una assurda piroetta. Prima è riuscito a vincere le elezioni di gennaio con lo slogan “la speranza è arrivata”, con riferimento al cambio di passo contrario al memorandum. Poi ha dovuto piegarsi alle logiche berlinesi, portando a casa un accordo ben peggiore di quello propostogli last minute da Jean Claude Juncker. Infine oggi anche nei comizi pubblici sconta una sfiducia frutto di questi otto mesi di governo, su cui Meimarakis invece ha puntato la propria campagna. “Saremo noi il primo partito” ha ripetuto in questi giorni il conservatore con un’aria trionfante. Per certi versi le sue elezioni le ha già vinte. La scorsa primavera non era lui la prima scelta per guidare i conservatori, stretto nella morsa dei giovani rampanti Mitsotakis e Bakoyannis, appartenenti a una delle tre famiglie che da quarant’anni in Grecia fanno il bello e il cattivo tempo, con i Papandreou e i Karamanlis. E invece riuscì ad agguantare la segreteria politica. Oggi è in pole position per essere premier in un governo di unità nazionale, se le urne dovessero consegnare un quadro di instabilità. Comunque vada a vincere sarà ancora una volta Berlino.