Dall'1 al 4 ottobre, a Faenza, si terrà come di consueto l'appuntamento con la musica indipendente italiana. Left e la rivista musicale ExitWell, aspettano il #nuovoMei2015 con una serie di interviste ai protagonisti di questa edizione. Ecco la prima chiacchierata, con Michele Maraglino
Michele Maraglino è un cantautore tarantino, classe 1984, di base a Perugia oramai da molti anni. A febbraio è uscito il suo full-lenght Canzoni contro la comodità, dopo secondo al suo disco d’esordio I mediocri (2012). Entrambi i lavori sono pubblicati per l’etichetta fondata da lui stesso, “La Fame dischi”.
Sbarchi al Mei mentre sei già in pieno tour dove, sicuramente, le tue canzoni hanno avuto modo di maturare ed evolversi. Quanto è cambiato il tuo ultimo disco nel corso dei live?
Le canzoni hanno preso una bella spinta rock. Oltre a me e Daniele Rotella, che è il produttore e arrangiatore dell’album, nei live si sono aggiunti anche Francesca Lisetto e Michele Turco. L’impronta musicale si è rivelata forte e d’impatto, ha giocato la sua parte completando l’impianto lirico delle canzoni. Detto questo, dal vivo ci divertiamo moltissimo.
Con Canzoni contro la comodità sviluppi ulteriormente un temi a te caro, l’attivarsi per non lasciarsi schiacciare dalla banalità del quotidiano. Tici eri già avvicinato con I mediocri, segui coscientemente un percorso o è una direttrice subliminale che ti guida?
Sì, effettivamente i miei dischi si sono sviluppati intorno a questi temi. La mediocrità nel primo disco e in questo mi sono soffermato sulle “comodità” che hanno annebbiato i miei coetanei, che si “accontentano” senza puntare a una vera felicità. Le mie canzoni parlano del non accontentarsi e del provare a esser felici veramente, rimboccandosi le maniche. Sono tempi in cui ti dicono che tutto è accessibile e facile e che occorre trovare delle scorciatoie… in realtà, se non vivi almeno un po’ di inferno non potrai godere appieno della vita, si riduce tutto a un “esistere” che non è vivere.
In “Felicità mediocrità comodità” scrivi: «La mediocrità è solo un modo per non star soli/ la comodità è solo un modo per aver ragione». La musica può rompere questa monotonia, aiutarti a cercare quella felicità che è «un modo per stare un po’ soli»?
Fino a un certo punto ho pensato che sarei diventato felice solo se fossi arrivato al grande successo. Poi, crescendo, ho imparato che si può essere felici da subito se si vuole. Per fare musica ti servono un palco e un pubblico, questo ti basta se sei mosso da un sentimento puro, dal provare a dire la tua e quello che senti dentro. Avrei potuto continuare ad aspettare il giorno in cui qualcuno mi avrebbe portato al successo ma quel giorno non sarebbe mai arrivato se non mi fossi rimboccato le maniche io. La musica è il modo mio per sentirmi vivo, per dire qualcosa di vero secondo me. Ce ne sono tante di persone che amano solo la fama. Sono tempi difficili, perché la comodità regna sovrana.
Tra il mainstream e il mercato indipendente ci sono punti di contatto possibili?
È cresciuta l’attenzione del pubblico verso l’ambiente indie e se i due mondi si mischiassero non sarebbe male. Bisogna, però, essere in grado di restare fedeli a se stessi quando si arriva a un pubblico maggiore, non perdersi. Il mainstream è un mondo dove bisogna arrivarci bene, preparati, se si viene schiacciati da quel mondo si perde la purezza del progetto. L’ideale sarebbe che chiunque potesse arrivare grande pubblico, indipendentemente dal produttore o dalla casa discografica. E in questo un grande ruolo lo giocano i network radiofonici, che però schiacciano il mondo indipendente e trasmettono sempre le stesse cose.
C’è un problema di “mediocrità” e “comodità” anche da parte degli ascoltatori, dei fruitori musicali?
Sì, c’è un problema culturale e comunicativo in Italia. Si passano sempre le stesse canzoni e i non appassionati o i giovanissimi non hanno modo di sviluppare una curiosità. Il privilegio di essere un artista “indipendente” è quello di poter ancora ritrovare e conoscere persone vive, che pensano con la loro testa. Siamo rimasti in pochi forse, ma ci siamo.
Non a caso, allora, è nata la tua etichetta, La Fame dischi. È appagante gestire altri artisti, completa il tuo essere artista e musicista?
La Fame dischi è nata da una mia idea nell’estate del 2011. Cercavo di registrare il mio primo disco e non trovavo un’etichetta, così ne ho fondata una io e ho continuato a lavorarci per me e poi anche per altri. È utile e anche bello, forse la parte più bella è quando si riesce a creare un book d’artisti che sono uniti, che portano avanti il gruppo più che il singolo. La nostra etichetta è partita dal basso, spinta dalla passione. E in quattro anni abbiamo capito chi siamo, dove vogliamo andare e come fare, stiamo imparando un mestiere. Alla fine abbiamo raccolto i consensi sia dalla gente che dagli addetti ai lavori.
Sembra che la Fame dischi abbia una sorta di “missione ideologica” per combattere la comodità. Tra le altre cose, infatti, promuovete un concorso, “Le canzoni migliori le aiuta la fame” che è già al suo quarto anno.
Il concorso è un modo per aiutare qualcuno a iniziare. Prima di essere interessante per qualcuno, devi aver lavorato di tuo e aver creato “un giro”. Serve a spingere gli artisti agli esordi, con una buona comunicazione e con dei soldi, che al momento è una cosa piuttosto rara. Promuoviamo non solo i vincitori ma tutti quelli che meritano, nelle tre edizioni precedenti hanno partecipato gruppi oggi molto attivi e che iniziano ad avere un pubblico sempre maggiore.
Oltre il tour, in questa settimana pubblicheremo una cover di “M’importa ‘na sega”, cover dei Csi, che sarà presto in free download. Poi inizierò a lavorare al nuovo disco, verso l’estate prossima. Per La Fame dischi è uscito il singolo dei Terzo Piano, che ha vinto il concorso l’anno scorso e il prossimo 28 ottobre pubblicheranno il disco registrato qui a Perugia. Infine, nei primi mesi del 2016, pubblicheremo il grande disco d’esordio di Marazzita. E poi, forse, il grande ritorno di una band… ma non posso ancora anticipare niente.
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