Dalle urne esce un Paese forse più stabile, ma certo meno laico e plurale. E il presidente si appresta a usare il risultato delle elezioni sullo scacchiere internazionale: in Siria e nella crisi dei rifugiati

Più stabile, forse. Ma più democratica, laica e plurale, certamente no. La Turchia che ha messo il suo destino nelle mani del “Sultano”, è un Paese spaccato a metà, molto più di quanto mette in luce il risultato delle elezioni legislative. Erdogan è riuscito nel suo azzardo, ma il prezzo che la Turchia è destinata a pagare è altissimo. Il “Sultano” ha trasformato le elezioni in un referendum sulla sua persona e su una torsione presidenzialista del regime. E per conquistare la maggioranza assoluta in Parlamento, negatagli nelle elezioni del giugno scorso, ha messo in campo tutte le armi termine che non è metaforico) a sua disposizione.

 

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Il nuovo Parlamento turco, voti assoluti ai partiti e in percentuale

Il rilancio in chiave nazionalista della guerra contro i curdi, e non solo nei confronti della componente più radicale, il Pkk, il bavaglio imposto ai media indipendenti o legati all’opposizione, fino all’utilizzo della strategia della paura, con stragi di Stati come quella compiuta contro i pacifisti ad Ankara, per non parlare nel ricatto all’Europa nell’uso spregiudicato fatto dei profughi siriani: o me o la destabilizzazione, stabilità o terrore, questo è il referendum che Erdogan ha imposto al Paese. Ha vinto, certamente, ma lo ha fatto cavalcando la paura, giocando sull’ultranazionalismo (togliendo voti al partito dell’estrema destra Mhp), promettendo benessere, trasformando il sud-est della Turchia, a maggioranza curda, in un campo di battaglia, giocando anche sulla debolezza degli avversari, sulla loro divisione, sull’assenza di leader alternativi forti, credibili, nuovi, capaci di costruire un fronte comune e prospettare un’alternativa realistica al regime del “Sultano” e l suo braccio politico, l’Akp. La conquista della maggioranza assoluta in Parlamento, permette all’Akp di Erdogan e Devatoglu di governare da solo, quanto alla modifica, in chiave presidenzialista, della Costituzione, questa può attendere, è solo questione di tempo.

epa05006470 Supporters of Justice and Development Party (AKP) celebrate after hearing the early results of the general elections in front of the party's office in Istanbul, Turkey, 01 November 2015. Early results in Turkey's general elections on 01 November showed the Justice and Development Party (AKP) on track to receive enough seats to form a single party government. The results exceeded pollsters' expectations and would be a huge boost for President Recep Tayyip Erdogan, the AKP founder, who called the snap election and is looking to consolidate his power. EPA/DENIZ TOPRAK
Sostenitori dell’Akp festeggiano il risultato dle partito di Erdogan a Istanbul (EPA/Deniz Toprak)

Ora, il “Sultano” ha altre priorità. La prima delle quali è usare il trionfo elettorale sullo scacchiere internazionale. Erdogan non ha mai nascosto le ambizioni neo-ottomane in politica estera, a cominciare da un ruolo centrale della Turchia nella definizione nei nuovi assetti statuali e di potere nella Siria del dopo-Assad. Il “Sultano” si muove su due direttrici: sedersi al tavolo dei vincitori, una sorta di “Yalta mediorientale” e decidere non solo su chi dovrà guidare la Siria dopo l’uscita di scena (anche qui, è solo questione di tempo, e a decidere quando sarà soprattutto “Vladimir d’Arabia”, il presidente russo Vladimir Putin) di Assad e del suo clan, ma, nel caso in cui lo “Stato fallito” siriano dovesse frantumarsi, individuare lo staterello dell’ex Siria su cui allungare la mano turca. Comunque, al centro dei giochi. Così come con l’Europa. Erdogan ha giocato spregiudicatamente la carta dei 2 milioni di profughi siriani rifugiatisi in Turchia.
Anche qui il messaggio, rivolto ad una Europa incapace di elaborare una strategia comune sui migranti, è stato chiaro: o io, o il caos. O mi sostenete altrimenti quei due milioni di profughi faranno saltare l’Europa. Il ricatto è riuscito, come dimostrano le aperture politiche ed economiche, manifestate verso il “Sultano” dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. Si dirà: ora per Erdogan viene il difficile.
Dovrà dimostrare di saper rispettare le tante promesse elettorali elargite in campagna elettorale, far ripartire la locomotiva, in panne, dell’economia turca, portare a termine il suo “disegno siriano”. Tutto vero, ma gli avvenimenti che hanno segnato gli ultimi cinque mesi in Turchia, da elezione a elezione, hanno dimostrato, drammaticamente, che il potere islamista ha saputo rafforzare il patto d’azione, e di affari, con i vertici militari (da sempre l’Esercito è un soggetto politico in Turchia), e che questo patto d’azione mette in conto, anzi ingloba in sé, la militarizzazione dell’informazione, il controllo sul potere giudiziario, il mantenimento in vita della strategia della paura (e dunque c’è da attendersi un inasprimento nella guerra al Pkk).

epa05006675 Kurdish supporters of People's Democratic Party (HDP) clash with riot police after hearing the early results of the general elections in Diyarbakir, Turkey, 01 November 2015. Early results in Turkey's general elections on 01 November showed the Justice and Development Party (AKP) on track to receive enough seats to form a single party government. The results exceeded pollsters' expectations and would be a huge boost for President Recep Tayyip Erdogan, the AKP founder, who called the snap election and is looking to consolidate his power. EPA/STR
Diyarbakir, scontri tra polizia e sostenitori dell’Hdp dopo l’annuncio dei primi risultati del voto (EPA/STR)

 

Il voto turco, infine, rimanda ad una riflessione che va oltre i confini della Turchia e investe la geopolitica del Grande Medio Oriente e dei suoi attori principali: con l’eccezione della Tunisia, si può dire che la stagione della speranza, quella dei ragazzi di Piazza Tahrir come di Gezi Park, sia davvero venuta meno, e che in questa nevralgica area del mondo, ci sia solo spazio di comando, per sultani, califfi, generali-presidenti e zar, con un occidente miope, imbelle, privo di visione, che in quel mondo cerca solo dei “gendarmi” a cui affidare il compito di farsi carico, con la repressione, i muri, il filo spinato, di una umanità sofferente che da quell’inferno ceca di fuggire. La vittoria del “Sultano” ha anche questo segno. Triste, e molto inquietante..