Per i geofisici è un classico duomo vulcanico. Per i turisti è un magnifico isolotto su cui insiste un castello, detto Aragonese (XV secolo) anche se fortificato fin dai tempi dei Siracusani (V secolo a.C.). Per gli abitanti di Ischia è il simbolo stesso dell’isola, distillato di natura e cultura. Per gli studiosi del clima è, invece, uno straordinario laboratorio di biologia marina: un microcosmo che anticipa la condizioni in cui verseranno i mari di tutto il mondo alla fine di questo secolo. Per questo, da qualche anno, le acque prospicienti il Castello Aragonese finiscono regolarmente ospiti delle più importanti riviste scientifiche internazionali, da Nature ai Proceedings of the National Academy of Science. Il motivo è semplice: in quelle acque, a due o tre metri di profondità, su una superficie di almeno 5.000 metri quadri, probabilmente a causa di una faglia, sgorga da decine di fontane gassose anidride carbonica pura al 95 per cento.
I chimici sanno che l’anidride carbonica sciolta in acqua ne abbassa il pH. Tradotto, significa che rende più acido il liquido. Ebbene, le fontane del Castello Aragonese di Ischia acidificano qualcosa come 18.000 metri cubi di mare, portandolo da un pH “normale” pari a 8,12 a un pH che in alcune zone scende fino a 7,0 e persino fino a 6,0 unità. In vaste zone a nord e a sud del Castello Aragonese, un po’ più lontano dalle fontane, il pH è intorno a 7,5. Un valore che anticipa, come abbiamo detto, quello che avranno gli oceani alla fine di questo secolo a causa non delle emissioni naturali, ma delle emissioni antropiche di anidride carbonica. Quelle causate, per intenderci, dall’uso dei combustibili fossili e dalla deforestazione. Quelle che, a loro volta, stanno causando i cambiamenti accelerati del clima (vedi l’articolo alle pagine seguenti). Particolare non irrilevante. La acque vicine alle fontane di anidride carbonica, lì intorno al Castello Aragonese, hanno la medesima temperatura e il medesimo grado di salinità di quelle più lontane. L’unica cosa che, dal punto di vista chimico e fisico, le distingue dal resto delle acque che bagnano l’isola d’Ischia è solo e unicamente il pH. Il succo di questa descrizione è chiaro. Le acque acide (in realtà meno basiche) intorno al Castello Aragonese di Ischia costituiscono una sorta di telescopio temporale, con cui è possibile scrutare il futuro. E capire che effetto avrà l’acidificazione degli oceani sulla biologia marina: sui microrganismi, sulla flora e sulla fauna. È per questo che da qualche anno i biologi della Stazione Zoologica di Napoli – e, in particolare, quelli aggregati alla sezione ischitana specializzata in ecologia del benthos (alghe e animali vari) dell’ente pubblico di ricerca fondato nel 1872 dal biologo tedesco Anton Dohrn, amico di penna di Charles Darwin – hanno messo a fuoco il telescopio e hanno iniziato un viaggio nel tempo. In realtà quelle acque sono frequentate da studiosi di tutto il mondo. Quello che hanno scoperto non è affatto promettente.
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Nelle acque acide intorno al Castello Aragonese si verifica una riduzione della biodiversità fino al 74 per cento. Significa che dei 551 taxa (gruppi di organismi viventi) di benthos e di pesci che vivono nell’area del duomo vulcanico, solo uno su quattro sopravvive nelle acque con il pH che avranno gli oceani a fine secolo. In particolare, come sostiene Maria Cristina Gambi, ricercatrice della Stazione zoologica, dei 551 taxa complessivi: «494 taxa (l’89%) sono presenti nelle zone a pH normale e fuori dall’influenza diretta delle emissioni, 274 taxa (50%) ricorrono nelle zone con emissioni modeste e valori relativamente bassi del pH, e 139 (il 25%) sono presenti nelle zone maggiormente acidificate, di cui solo 18 (3,2%) sono esclusive di queste aree. Tra queste anche una specie nuova per la scienza, un verme piatto descritto di recente». Le praterie di Posidonia Oceanica, la pianta che “ossigena” i mari, nelle acque acide scompaiono e tra le specie animali sopravvivono solo le patelle e pochissime altre. Il mare diventa un deserto.
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