“Il lucro. Il capitalismo ha vinto, non c’è comunismo che tenga e le società capitalistiche devono fare lucro. è il loro primo obiettivo. Capito? L’impresa deve avere scopo di lucro”. Mi hanno ripetuto così, anche questa mattina. È vero. Il lucro. Lo capisco, le società capitalistiche non stanno in piedi altrimenti. è una presa di realtà necessaria. Obbligata. Solo che poche settimane fa ascoltavo importanti economisti raccontare la storia dell’homo economicus. Raccontavano che non dice la verità degli esseri umani. è una realtà, senza dubbio, ma non dice la verità. Anzi la nasconde per “produrre” solo la realtà. Del lucro. Sottraendo persino la cognizione generale di una verità “umana” diversa.
In questi giorni di particolare “terrore” pensavo a questo schema e al lucro. A questo modo di non pensare gli uomini e le relazioni. Di non pensare persino la vita “umana”. In questa stramba copertina di Left è come se provassimo a saldare due pazzie, quella che fa il terrore, che produce morte, perché ha in odio la vita umana, come racconta l’avvocato Abdelaziz Essid, premio Nobel per la Pace 2015, su questo numero: «I bar, i ristoranti, i musei… nel loro mirino ci sono i luoghi della vita. Dove c’è la gioia e dove si incontra la gente. Ciò che il terrorismo rifiuta è la comunità consapevole, la libertà di autodeterminarsi. Tutto questo non gli appartiene». E la pazzia che porta all’estremo la logica del lucro. Perché, per assurdo, anche i pazzi dell’Is credono di gestire un vero e proprio Stato, come vi racconta nella sua inchiesta Alessandro De Pascale, producono bilanci e puntano al profitto. Si comportano, in realtà, come una holding qualsiasi vendendo droga, armi, arte e corpi. Non vite umane. Quelle le eliminano.
E (un po’ meno per assurdo) anche i nostri cari mercati “occidentali” pensano al lucro e reagiscono bene alla notizia che la Francia bombarda i pozzi, perché potrebbe favorire la crescita del prezzo del petrolio. Tutto, estremizzando, diventa occasione di lucro, persino le prospettive di guerra. Lucro politico (Hollande e le sue frontiere chiuse), lucro economico (una nuova guerra). Meno che lucro umano (nessuno pensa a dare una risposta a quel disagio che produce “pedine” di terrore nostrano, vedi la vecchia storia delle banlieue francesi). Sarà che non produce lucro sufficiente?
Eppure Essid ci racconta il contrario: «C’è un’altra arma che secondo me arriveremo un giorno o l’altro a mettere in campo. Per far fronte al terrorismo ci vuole una coalizione internazionale, non un Paese soltanto ma un fronte unito e vasto. E sul piano locale, delle singole nazioni, tutta la popolazione deve sentirsi protagonista di questa battaglia culturale prima che militare». C’è una battaglia culturale che si può fare senza guerra e senza lucro. Che racconta la verità “umana”. Per esempio, quella di un gruppo di avvocati che è sceso in piazza per difendere i manifestanti che volevano la democrazia contro un governo islamico «indossando la stessa toga che utilizziamo in tribunale. Abbiamo promesso di difenderli in strada come difendiamo in aula i nostri clienti. E per mantenere quella promessa tanti colleghi avvocati hanno perso la vita… Ma la parola militante – lo dico con tutta la modestia di questo mondo – nella storia dell’avvocatura tunisina trova il suo vero senso». Che racconta di un processo collettivo. Di un fare le cose per niente. Perché quel niente è tutto. è una Costituzione, è un governo democratico, è la sola arma del dialogo, è una popolazione che aumenta «la sensibilità» e rifiuta il terrorismo. è il futuro. Dell’umanità certo. Non degli animali, che continueranno a uccidere e a uccidersi per sopravvivere, è naturale che lo facciano. Rispondono ad istinti. Noi no. Noi abbiamo quell’insopprimibile capacità di reagire che tanto devono odiare quelli che oggi chiamiamo terroristi (perché producono terrore) e ieri in qualche altro modo, quando attaccano la vita “umana”, che è libertà di pensare, di scegliere, di sentire. Di rifiutare. Di essere.
Trovi questo editoriale sul numero 45 di Left in edicola dal 21 novembre
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