Cosa ci fanno fumare? Se preferite – magari perché non siete tra i 4 milioni di italiani che fanno uso saltuario di marijuana – potreste domandarvi “cosa gli fanno fumare?”, magari pensando ai vostri figli o a quelli di qualcuno che conoscete. Non fa molta differenza, la domanda andrebbe rivolta assieme a molte altre a chi continua a ritenere il proibizionismo come l’unica politica contro le droghe, magari omologandole tutte: la marijuana con il crack, l’hashish con l’eroina e la cocaina.
Che questa sia una strada senza uscita lo dimostra la storia di questo mezzo secolo e la scelta che molti altri Paesi stanno facendo verso vie alternative allo spaccio clandestino.
Alla domanda, a ogni modo, abbiamo tentato di dare una risposta noi del Test, a modo nostro. Dopo esserci improvvisati anonimi acquirenti, abbiamo “fatto acquisti” nelle principali piazze di spaccio italiane e abbiamo portato la marijuana in un laboratorio specializzato in scienze forensi. I risultati delle prove, pubblicati sul numero in edicola dal 24 novembre, hanno sorpreso anche gli analisti più esperti. Per riassumerli prendiamo in prestito le parole del dottor Oscar Ghizzoni, che per il nostro giornale ha realizzato lo studio e che così ci ha descritto quanto vedeva al microscopio: «Sembrava di osservare i muscoli di un culturista che ha assunto notevoli quantità di aminoacidi e si è sottoposto a un allenamento intenso. Le foglie avevano un aspetto “pompato” quasi fosforescenti, molto grasse. Sembravano finte». Una marijuana dopata, insomma, che poco ha in comune con quella che circolava 10 o 15 anni fa. Un’erba molto potente, difficile da definire “droga leggera” con il suo contenuto del 10% di Thc.
Non solo. A prescindere dalla piazza di spaccio, l’erba era praticamente identica: chiaramente frutto di una modificazione transgenica, per farla crescere velocemente in grandi serre, illuminata 24 ore al giorno, con la stessa logica degli allevamenti industriali di galline ovaiole. Di fatto, di questo si tratta: di un’industrializzazione del mercato dove non c’è più alcuna differenziazione geografica del prodotto; che si coltivi in Albania, nel Nord Europa o in Africa del Nord i semi sono accuratamente scelti tra gli Ogm e i produttori sono costretti a utilizzarli. Una precisa scelta di mercato. Difficile non concordare con le parole del senatore Luigi Manconi: «La cannabis, come conferma l’inchiesta del Test, diventa tanto più nociva quanto più è illegale». Un ragionamento lineare che contraddice clamorosamente uno dei punti cardine della teoria proibizionista: «Chi è contrario alla legalizzazione è su questo che insiste, al punto da aver elaborato e diffuso l’argomento che “le canne non sono più quelle di una volta”», sottolinea Manconi. «Ma questa affermazione ha le gambe corte perché questa nocività non conferma le loro teorie, ma è l’esatto contrario: è il regime proibizionistico che l’ha prodotta». Manconi, insieme al sottosegretario Benedetto Della Vedova, proprio in questi giorni porterà a Montecitorio il suo disegno di legge sulla legalizzazione: dieci articoli per ridurre il mercato illegale, la spesa per la repressione (e i costi sociali immensi che ha) e i danni per la salute delle droghe leggere. Non sappiamo se alla Camera e al Senato i tempi siano maturi per un cambio radicale di politica. Di certo lo sono nel Paese.
*Riccardo Quintili è il direttore del mensile Il Test che nel numero di dicembre in edicola a partire dal 24 novembre pubblica un lungo approfondimento sulla Marijuana e i risultati dei test di cui si parla in questo articolo. Inoltre i risultati verranno presentati anche durante un evento che avrà luogo al Pigneto, una delle principali piazze di spaccio a Roma.