Dopo domenica la Spagna politica non sarà più la stessa. Questa è probabilmente l’unica certezza che abbiamo. Sappiamo che rispetto alle ultime elezioni politiche, i due partiti maggiori, il PPE guidato dal premier Rajoy e il PSOE, che candida il 43enne Pedro Sanchez per la prima volta, crolleranno rispetto alle ultime elezioni. Nel 2011 il partito conservatore che guida il Paese prese il 44,6% e il principale partito di opposizione il 28,8%. Le ultime stime di voto sono nella figura qui sotto e ci dicono di un PPE che perde circa 20 punti, di socialisti che sono intorno al 21%, incalzati da Podemos e Ciudadanos, che sono appaiati poco sotto il 20. Poche variazioni nelle intenzioni di voto, più o meno partecipazione ai seggi cambierebbero di molto il risultato politico per ciascun partito.
(Metroscopia)
La Spagna cresce dal 2013 e il suo tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi anni di diversi punti percentuali. Due anni fa i disoccupati spagnoli erano circa il 27% e nel 2014, quando si votò per le elezioni europee Podemos, che si presentava per la prima volta agli elettori, prese l’8%. All’epoca una parte della rivolta e protesta prese ancora la forma del voto alla sinistra plurale spagnola, che prese il 10% (oggi al5%). La rivolta, gli Indignados e la stanchezza avevano appena cominciato a prendere forma politica. E nonostante i dati economici positivi – che evidentemente non sono abbastanza per far riguadagnare la fiducia alle persone – Rajoy resta piuttosto impopolare.
Negli anni successivi le rivolte, di sinistra, di centro e localistiche sono tutte cresciute e hanno stravolto il panorama elettorale. E così il voto di domenica sarà quello in cui salta – almeno per una legislatura – il sistema tendenzialmente bipartitico spagnolo.
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Dalle europee a oggi abbiamo assistito alla crescita esponenziale nei sondaggi e nell’attenzione dei media di due fenomeni: quello di Podemos e quello di Ciudadanos. Fino a pochi mesi fa il partito nato dalla rivolta indignata e che ha conquistato – con alleanze civiche locali – i municipi di Madrid e Barcellona, volava nei sondaggi. Poi una serie di fattori ne hanno determinato la frenata. Quali? Se andaste sulla pagina web di ElPais scoprireste che diversi articoli di curiosità sulle elezioni sono punture contro Pablo Iglesias, il leader di Podemos, e il suo partito. I media di destra e sinistra moderata non sono stati teneri con il partito anti-casta spagnolo. Un po’ come capitato in Italia con il Movimento 5 Stelle – che a dire il vero è piuttosto diverso sia per gestazione che per idee politiche.
Poi ci sono i guai politici e gli errori. I guai politici si chiamano Grecia, Syriza e Catalogna: la speranza portata dalla vittoria di Tsipras e l’idea che nel continente stesse crescendo una poderosa onda anti-austerity hanno reso Podemos troppo fiduciosa in se stessa e troppo spavalda. La mezza resa del governo greco non ha aiutato. Il referendum catalano, che Podemos non appoggiava ma di cui riconosceva la liceità, è stato un altro colpo: gli spagnoli non autonomisti sono tendenzialmente contrari all’indipendentismo. E quindi qualcuno cambia opinione su un partito che in Catalogna ha scelto di non scegliere perdendo sia i voti degli indipendentisti che quelli dei contrari all’idea di indipendenza.
Infine c’è la la nascita di Ciudadanos: il partito guidato da Albert Rivera è stato capace di intercettare la protesta moderata, la rivolta della gente stanca del sistema dei partiti, non troppo conservatrice e bigotta sualcune istanze, ma moderata sul piano della politica economica. La parabola degli arancioni nei sondaggi è inversamente proporzionale a quella di Podemos: quando viene lanciato il partito di Rivera, quello di Iglesias è al massimo nei sondaggi. Poi comincia a calare.
I dati nella figura qui sotto sono interessanti. Chi pensate che sia il premier adatto, chi ti piacerebbe che vincesse e chi non votereste mai, sono le domande. La più interessante è la terza: il partito al potere è quello che metà degli spagnoli non voterebbero mai. Guardando a questi sondaggi sembra di capire che, tutto sommato, il PSOE sia in buona posizione per cercare un’alleanza con qualcuno. Molto dipenderà dai risultati di ciascun partito.
(Metroscopia)
Negli ultimi giorni di campagna elettorale Podemos è tornato a crescere, segno di una buona campagna elettorale guidata da Iglesias, dimessosi dal Parlamento europeo nel momento di massima difficoltà per Podemos. Nel partito la chiamano “la remontada”. Ciudadanos è in calo.
Certo è che le stime sui seggi in Parlamento ci dicono che oggi i due partiti hanno quasi 300 eletti e che da lunedì potrebbero averne meno di 200. Nelle ultime ore di campagna elettorale il premier Rajoy ha messo i guardia contro l’alleanza socialisti-Podemos. Un tentativo di spaventare gli elettori e un segnale del fatto che il suo timore più forte è quello di un buon risultato del PSOE che ne faccia l’ago della bilancia (il partito di
Sanchez potrebbe allearsi con Podemos, ma anche con Rivera). L’altra certezza è che queste elezioni, come sembra succedere un po’ ovunque in Europa, manderanno a casa mezza classe dirigente storica: quattro leader candidati su cinque hanno meno di 40 anni (il leader di Izquierda Unida Garzon è il più giovane, ne ha 30 e il suo partito dovrebbe farcela a entrare in Parlamento). Anche questo aspetto rende Rajoy il passato (che non è detto non ritorni in coalizione). Da lunedì si potrà probabilmente dire che la democrazia spagnola chiude l’era post-franchista.
(Metroscopia)
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