Questo 2015 è indubbiamente stato l’anno dello spazio, siamo andati al cinema a vedere Interstellar e abbiamo seguito Matt Damon sopravvissuto in The Martian. Incollati allo schermo abbiamo guardato le nuove foto di Plutone, assistito alla scoperta dell'acqua, e quindi della potenziale vita, su Marte. Soprattutto abbiamo sentito parlare di Samantha Cristoforetti. Samantha, classe 1977, passerà alla storia perché è la prima donna italiana ad essere andata nello spazio e vi ha trascorso ben 220 giorni, anche questo un record. La rivista Time ha voluto assolutamente intervistarla: «con equipaggi ancora prevalentemente maschili, rimane solo un soffitto di cristallo tra la Terra e l' orbita, e sono le donne, non gli uomini, a doverlo sfondare» scriveva Jonathan D. Woods il 10 agosto di quest'anno presentando l'astronauta italiana. Il Financial Times addirittura la indica, unica italiana insieme alla scrittrice Elena Ferrante, nella lista delle donne del 2015, forse proprio per quel record di permanenza nello spazio conquistato sulla Stazione Internazionale. Lei che per arrivare lassù ha superato una selezione fra altri 8500 candidati. Lei che volente o no, quest’anno, tra un tweet dal suo account @AstroSamantha e un altro, sempre mentre era ancora in orbita, è diventata un simbolo nazional popolare tanto da essere stata ospite in collegamento dalla Iss durante il Festival di Sanremo. Tanto da essere invitata da Matteo Renzi  - uno che alle cose che hanno anche solo un sentore di nazional popolare non sa resistere - alla Leopolda 6. Invito a quanto pare rispedito al mittente dall’ingegnere trentina. Sicuramente quella della Cristoforetti è una storia che ci piace raccontare perché parla di un’Italia fatta di eccellenza e meritocrazia, ma Astrosamantha è anche qualcosa di più. È un simbolo, inconsapevole, che in qualche modo racchiude in sè i desideri, le aspirazioni e le difficoltà dell’anno appena trascorso.

Lanciare una navicella nel buio lassù ci entusiasma e ci galvanizza, è il trionfo dell’illuminismo, un piccolo passo per un uomo, enorme per una donna, sicuramente: "un grande passo per l’Umanità”


Samantha Cristoforetti non ci ha appassionato così tanto perché eravamo consci dell’importanza scientifica della sua missione, ma perché per noi la sua era un’impresa epica, un viaggio oltre il confine dell’atmosfera che su di noi, poveri profani rimasti con i piedi sulla terra, ha avuto lo stesso fascino della conquista del West. Ha mostrato la possibilità concreta di pensare come valicabile un confine che sembrava invalicabile. "Sfondare il soffitto di cristallo" di cui parla Jonathan D. Woods sulle pagine di Time. Se, infatti, indubbiamente questo è stato l’anno dello spazio, altrettanto indubbiamente, è stato anche quello dei confini. E lo stesso spazio è questione di confini, limiti tecnici e fisici, che vengono superati (pensate all’atmosfera o alla gravità). Lanciare una navicella nel buio lassù ci entusiasma e ci galvanizza per questo, è il trionfo dell’illuminismo, un piccolo passo per un uomo, enorme per una donna - dopo tutto che saranno mai 8.500 concorrenti - sicuramente: "un grande passo per l’umanità”. L’umanità, ecco, un’altra cosa che, soprattutto quest’anno, ha avuto a che fare con i confini. Quelli segnati dal filo spinato varcati dai rifugiati; quelli liquidi del Mediterraneo solcati dai migranti; quelli rivendicati dai kurdi impegnati nella resistenza contro Daesh; quelli che, dopo Charlie Hebdo e gli attentati di Parigi, le destre populiste hanno tentato di tracciare tra noi e “loro”, come se la vita fosse un film hollywoodiano dove esistono solo buoni e cattivi. Quest'anno ha avuto a che fare con i confini europei - quelli di un’Unione che vorrebbe essere forte, ma spesso si dimostra fragile - per cui la Grecia doveva essere dentro o fuori. E con le "frontiere" ambientali discusse a Parigi che, più che confini, sono limiti da rispettare e traguardi a cui tendere. Infine, quest'anno ha appunto avuto a che fare con la linea di confine tracciata dall'idea di spazio dove è finita Samantha Cristoforetti e che, forse per una banale questione metaforica di micro e macro o per il fatto altrettanto simbolico che in tutte quelle foto il globo lo vediamo dall’alto e per intero, potrebbe includere tutti quanti gli altri. Quasi si trattasse di un monito e di un memento. A dicembre, nell'ultimo numero di Left abbiamo inserito uno degli scatti di Samantha nel nostro portfolio di fine anno e abbiamo titolato l’immagine così: “Se da lassù a guardarci è una donna”. Ecco, "se da lassù a guardarci è una donna", forse si finirebbe con il pensare che no, non è vero che l’Umanità ha dei confini. Che dividere il mondo in noi e loro è solo una questione di prospettiva, ridotta. Che per questo 2016 dovremmo impegnarci a guardare il mondo dalla prospettiva di AstroSamantha. In fondo: «Visto da lassù il Mediterraneo è una pozzanghera. Non ha senso barricarsi» parola di astronauta. Illustrazione: Antonio Pronostico [social_link type="twitter" url="http://twitter.com/GioGolightly" target="" ][/social_link]  @GioGolightly

Questo 2015 è indubbiamente stato l’anno dello spazio, siamo andati al cinema a vedere Interstellar e abbiamo seguito Matt Damon sopravvissuto in The Martian. Incollati allo schermo abbiamo guardato le nuove foto di Plutone, assistito alla scoperta dell’acqua, e quindi della potenziale vita, su Marte. Soprattutto abbiamo sentito parlare di Samantha Cristoforetti. Samantha, classe 1977, passerà alla storia perché è la prima donna italiana ad essere andata nello spazio e vi ha trascorso ben 220 giorni, anche questo un record. La rivista Time ha voluto assolutamente intervistarla: «con equipaggi ancora prevalentemente maschili, rimane solo un soffitto di cristallo tra la Terra e l’ orbita, e sono le donne, non gli uomini, a doverlo sfondare» scriveva Jonathan D. Woods il 10 agosto di quest’anno presentando l’astronauta italiana. Il Financial Times addirittura la indica, unica italiana insieme alla scrittrice Elena Ferrante, nella lista delle donne del 2015, forse proprio per quel record di permanenza nello spazio conquistato sulla Stazione Internazionale. Lei che per arrivare lassù ha superato una selezione fra altri 8500 candidati. Lei che volente o no, quest’anno, tra un tweet dal suo account @AstroSamantha e un altro, sempre mentre era ancora in orbita, è diventata un simbolo nazional popolare tanto da essere stata ospite in collegamento dalla Iss durante il Festival di Sanremo. Tanto da essere invitata da Matteo Renzi  – uno che alle cose che hanno anche solo un sentore di nazional popolare non sa resistere – alla Leopolda 6. Invito a quanto pare rispedito al mittente dall’ingegnere trentina.
Sicuramente quella della Cristoforetti è una storia che ci piace raccontare perché parla di un’Italia fatta di eccellenza e meritocrazia, ma Astrosamantha è anche qualcosa di più. È un simbolo, inconsapevole, che in qualche modo racchiude in sè i desideri, le aspirazioni e le difficoltà dell’anno appena trascorso.


Lanciare una navicella nel buio lassù ci entusiasma e ci galvanizza, è il trionfo dell’illuminismo, un piccolo passo per un uomo, enorme per una donna, sicuramente: “un grande passo per l’Umanità”


Samantha Cristoforetti non ci ha appassionato così tanto perché eravamo consci dell’importanza scientifica della sua missione, ma perché per noi la sua era un’impresa epica, un viaggio oltre il confine dell’atmosfera che su di noi, poveri profani rimasti con i piedi sulla terra, ha avuto lo stesso fascino della conquista del West. Ha mostrato la possibilità concreta di pensare come valicabile un confine che sembrava invalicabile. “Sfondare il soffitto di cristallo” di cui parla Jonathan D. Woods sulle pagine di Time.
Se, infatti, indubbiamente questo è stato l’anno dello spazio, altrettanto indubbiamente, è stato anche quello dei confini. E lo stesso spazio è questione di confini, limiti tecnici e fisici, che vengono superati (pensate all’atmosfera o alla gravità). Lanciare una navicella nel buio lassù ci entusiasma e ci galvanizza per questo, è il trionfo dell’illuminismo, un piccolo passo per un uomo, enorme per una donna – dopo tutto che saranno mai 8.500 concorrenti – sicuramente: “un grande passo per l’umanità”.
L’umanità, ecco, un’altra cosa che, soprattutto quest’anno, ha avuto a che fare con i confini. Quelli segnati dal filo spinato varcati dai rifugiati; quelli liquidi del Mediterraneo solcati dai migranti; quelli rivendicati dai kurdi impegnati nella resistenza contro Daesh; quelli che, dopo Charlie Hebdo e gli attentati di Parigi, le destre populiste hanno tentato di tracciare tra noi e “loro”, come se la vita fosse un film hollywoodiano dove esistono solo buoni e cattivi. Quest’anno ha avuto a che fare con i confini europei – quelli di un’Unione che vorrebbe essere forte, ma spesso si dimostra fragile – per cui la Grecia doveva essere dentro o fuori. E con le “frontiere” ambientali discusse a Parigi che, più che confini, sono limiti da rispettare e traguardi a cui tendere. Infine, quest’anno ha appunto avuto a che fare con la linea di confine tracciata dall’idea di spazio dove è finita Samantha Cristoforetti e che, forse per una banale questione metaforica di micro e macro o per il fatto altrettanto simbolico che in tutte quelle foto il globo lo vediamo dall’alto e per intero, potrebbe includere tutti quanti gli altri. Quasi si trattasse di un monito e di un memento.
A dicembre, nell’ultimo numero di Left abbiamo inserito uno degli scatti di Samantha nel nostro portfolio di fine anno e abbiamo titolato l’immagine così: “Se da lassù a guardarci è una donna”.
Ecco, “se da lassù a guardarci è una donna”, forse si finirebbe con il pensare che no, non è vero che l’Umanità ha dei confini. Che dividere il mondo in noi e loro è solo una questione di prospettiva, ridotta. Che per questo 2016 dovremmo impegnarci a guardare il mondo dalla prospettiva di AstroSamantha.
In fondo: «Visto da lassù il Mediterraneo è una pozzanghera. Non ha senso barricarsi» parola di astronauta.

Illustrazione: Antonio Pronostico

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